Umberto Magni, un eroe civile nel racconto della figlia

31 Marzo 2010 0 Di Felice Pensabene

“Finalmente avete dato un nome all’”anziano” di Ferentino, aggredito, massacrato e ucciso come ho letto nei diversi titolo degli articoli, estratti dai quotidiani locali. Dal sette dicembre 2009 leggo: un “anziano” eroe “anonimo””. Lo scrive in un commento Stefania, figlia di Umbrerto. “Mio padre:Umberto Magni. Mio padre che non è conterraneo dello Iori, ma nato e vissuto a Bologna fino all’età di trentatre anni e poi per lavoro e amore si è trasferito a Ferentino, e che lunedì 29 marzo avrebbe compiuto e festeggiato come ogni anno con i suoi figli, il suo compleanno. Il suo settantaseiesimo compleanno. Per un gesto di responsabilità civile, di amore, generosità, è stato ridotto in un letto di Ospedale e privato della sua stessa vita. Dopo l’aggressione ha riportato: trauma facciale, trauma addominale, trauma cranico. Purtroppo da subito la tac cranica ha sentenziato quella che sarebbe stata la vita futura di mio padre: appesa ad un labile filo. Filo che noi figli abbiamo trasformato in un cordone di Speranza e Fede. E’ stato tentato un intervento alla vasta e rovinosa emorragia cerebrale, ma parte del suo cervello era ridotta in poltiglia. E’ stato riportato dopo pochi giorni d’urgenza in sala operatoria per una emorragia inarrestabile, durata diverse settimane. Ha subito non so quante trasfusioni. E’ stato trentasei giorni in sala di rianimazione a Latina, dove puntualmente ogni giorno con i miei fratelli mi sono recata. Il tredici dicembre i Rianimatori ci informano che papà sarebbe stato trasportato a Cassino, dove vi è rimasto fino al venticinque di marzo 2010 (tre mesi e undici giorni), giorno in cui ci hanno annunciato che papà straziato e sfinito dalla sofferenza patita e da tutto ciò che ne è conseguito, non c’era più. Mio padre non ha mai riacquistato conoscenza, attaccato ad un respiratore (tracheotomizzato), nutrito da un sondino naso gastrico, vari cateteri, decine di fili e tubi che gli attraversavano quel povero corpo. Mio padre era paralizzato in quel letto. Anche solo per essere lavato, pativa un dolore indescrivibile perchè gli arti semi paralizzati. Ringrazio Dio di avermi dato lui come padre, e la forza per vederlo soffrire quotidianamente in quel letto senza poterlo aiutare. Mio padre un uomo esile, generoso, gentile, e sempre sorridente con tutti. Ieri l’ultimo strazio su quel povero corpo: l’esame autoptico. Per noi un dolore incommensurabile. Oggi finalmente quel povero corpo appartenuto al mio amato papà troverà pace , le Esequie. Questo è il mondo in cui vivono i ragazzini a cui mio padre ha scansato le botte, dove un ragazzo di trenta anni forte come un toro si accanisce contro un povero uomo anziano, Umberto Magni, che conosce cos’è un gesto di responsabilità civile, e rifletto sulla dignità di chi protegge sotto le diverse forme simili comportamenti dannosi socialmente”.