La Cassazione penale ci ricorda le buone maniere: risponde del reato di “atti contrari alla pubblica decenza” chi fa pipì per strada

9 Novembre 2011 0 Di redazione

Da Giovanni D’Agata riceviamo e pubblichiamo:

A volte la Cassazione penale ci fa sorridere ma svolge una funzione che potremmo definire preventiva ed educativa con decisioni che riguardano vicende che ci possono capitare tutti i giorni, tipo quella che commenta Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, che nella specie riguarda un uomo che aveva fatto pipì in pubblico nei pressi dell’ingresso di una discoteca e che con una vicenda giudiziaria che è arrivata sino all’attenzione della Suprema Corte, dovrà ritornare innanzi al giudice di pace in sede penale dopo che era stato assolto in primo grado.
Nel caso in questione un giovane aveva orinato proprio nei pressi della biglietteria di un locale pubblico mentre si trovava in coda con altri coetanei. Pur trovandosi di spalle rispetto alla discoteca si era messo comunque di profilo rispetto agli altri clienti in fila in attesa di entrare ed aveva espletato il “bisognino”.
I gestori del locale lo avevano così denunciato e portato innanzi al giudice di pace di Pontremoli (MS) che lo aveva assolto per insussistenza del fatto sostenendo come dall’istruttoria fosse emerso che il giovane si era allontanato dall’ingresso e la zona poco illuminata.
Il procuratore generale presso la Corte d’appello di Genova aveva così deciso di proporre ricorso in cassazione sostenendo che il giudice di pace aveva errato nel confondere il reato di cui all’articolo 527 del codice penale noto come “atti osceni” con quello “atti contrari alla pubblica decenza” previsto dall’articolo 726 dello stesso codice per cui è accusato lo straniero.
Secondo gli ermellini che sulla scia di altri precedenti in materia, hanno dato ragione al procuratore generale con una sentenza della terza sezione depositata il 04 novembre scorso, il criterio di distinzione tra le due fattispecie è che i primi “atti” offendono in modo intenso e grave il pudore sessuale, suscitando nell’osservatore sensazioni di disgusto oppure rappresentazioni o desideri erotici, mentre i secondi ledono il normale sentimento di costumatezza, generando fastidio e riprovazione; nella condotta di chi orina in luogo pubblico o esposto al pubblico, risultando, quindi, irrilevante ai fini della configurazione del reato che i genitali siano visibili oppure no.
A tal fine, per integrare il reato di cui all’articolo 726 del codice penale, è sufficiente che si configuri la mera condizione di luogo, vale a dire che qualcuno possa percepire la condotta anti-giuridica, mentre non risulta necessario che l’atto abbia concretamente offeso in qualcuno il sentimento della decenza né che esso sia stato in concreto percepito da qualcuno.
Peraltro, il giovanotto non ha dimostrato che il bisogno fisiologico fosse impellente né che esso non potesse essere soddisfatto altrove.
Una decisione esemplare, quindi, per cui si rischia una condanna con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da 10 a 206 euro.