La Cassazione Civile contro i processi lumaca: va risarcita anche la parte che ha perso la causa

17 Gennaio 2012 0 Di redazione

Da Giovanni D’Agata riceviamo e pubblichiamo:

Lo “Sportello dei Diritti” è intervenuto numerose volte sull’annoso problema della lentezza dei processi italiani causa non solo di continue condanne dello Stato da parte della Corte di Giustizia europea, ma soprattutto di conseguenze negative per i cittadini costretti a subire le ansie e le attese per decisioni che non arrivano mai o che arrivano dopo anni ed anni di rinvii.

La legge 89/2001 nota a tutti come «legge Pinto» e che ha superato il decimo anno dall’entrata in vigore ha tentato di porre un argine ai danni causati alla cittadinanza per tutelarla di fronte all’irragionevole durata delle cause, che secondo giurisprudenza corrisponderebbe a tre anni per il primo grado di giudizio, due anni per il secondo e un anno per ciascuna fase successiva, stabilendo la possibilità di ottenere un “equo indennizzo” a fronte degli irragionevoli ritardi dei processi.

Con alcune recenti decisioni della Cassazione (2009/16086; 2010/819), gli ermellini avevano posto alcuni paletti per definire l’entità dell’indennizzo liquidabile: “La quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata. Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno”.

A tal proposito è utile riportare la recentissima sentenza n. sentenza n. 35/2012 della sesta sezione civile della Corte di Cassazione che ha ricordato come il diritto all’equa riparazione spetta tutte le parti e non soltanto quella che è risultata vittoriosa.

Come spiega la Corte, la violazione del termine di durata ragionevole del processo fa sorgere il diritto alla riparazione anche alla parte che ha perso la causa. Non solo: tale diritto prescinde anche dalla consistenza economica e dall’importanza del giudizio. Unica eccezione è quella in cui si dimostri che il soccombente ha promosso una lite temeraria o ha resistito in giudizio al solo scopo “di perseguire proprio il perfezionamento del diritto alla riparazione”. Implicitamente la Corte non fa che richiamare la portata del secondo comma dell’articolo 2 della legge 89 secondo cui il giudice deve considerare la complessità del caso e, in relazione ad essa, il comportamento delle parti. Per il resto secondo la Corte risulta del tutto irrilevante, la eventuale consapevolezza, da parte di chi fa la richiesta di equa riparazione, della scarsa probabilità di successo della sua iniziativa giudiziaria.

Al di là del merito della sentenza, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, si rivolge alla cittadinanza affinché prendendo spunto da tali decisioni continui a promuovere l’azione civile nei confronti dello Stato per vedersi riconosciuto un sollievo economico a fronte delle sofferenze e delle ansie dovute alla lungaggine dei processi che dovrebbe servire anche da impulso per accelerare le riforme necessarie e per fornire uno stimolo ulteriore affinché si doti l’amministrazione giudiziaria degli strumenti necessari per una Giustizia più rapida ed efficace.

Anche alla luce delle decisioni in commento che confermano l’orientamento giurisprudenziale per una tutela più efficace dei cittadini, lo “Sportello dei Diritti” continua e continuerà nella sua attività di tutela legale di tutte le vittime della giustizia lenta.