A.S. La Cobas: “Chissà se Mario Monti si è accorto che la più grande industria nazionale sta per chiudere i battenti?”

4 Settembre 2012 0 Di Felice Pensabene

Da A.S. La Cobas riceviamo e pubblichiamo.

Chissà, infine, se provocano qualche problema le notizie che  arrivano da Mirafiori dove sono state chiuse le linee della Mito e della Musa e sono stati mandati a casa 2600 operai. E dei nuovi Suv che, secondo le promesse di Marchionne, sarebbero stati prodotti a Mirafiori e poi esportati negli Usa, semplicemente non si sa niente. Le vicende della Fiat nell’ultimo anno possono essere riassunte in questo modo: crollo delle vendite e del mercato italiano, cassa  integrazione diffusa dappertutto, minacce di chiusura di uno o due stabilimenti. Ma a questi fatti  incontrovertibili e gravi come lo sono, del resto, il peggioramento delle condizioni di lavoro e l’espulsione della Fiom se ne deve aggiungere un altro: il probabile quasi sicuro addio all’Italia della industria nazionale dell’auto. Nel futuro, infatti, non è in pericolo quella produzione o quello stabilimento, il ridimensionamento di questa o di quella produzione ma la Fiat nel suo complesso. Chi conosce bene le vicende Fiat, parla apertamente di una strategia del Lingotto che prevede la chiusura di tutti gli stabilimenti salvo uno o poco più. Anche in Italia, come negli altri paesi in cui è presente il marchio Fiat, dal Brasile alla Polonia ci sarà una sola fabbrica. Catastrofismo? No. Basta entrare a Mirafiori, in quello che è stato lo stabilimento più grande d’Europa,  per rendersi conto che è quasi completamente fermo, che continuano a funzionare pochi reparti, che gli operai per la maggior parte dell’anno rimangono a casa.

A nessuno può sfuggire che la fine (qualcuno parla di consapevole distruzione) dell’industria automobilistica nazionale è un fatto gravissimo per i lavoratori e per l’intero paese. Può dare un colpo definitivo al già dissestato sistema produttivo italiano.  Un solo esempio per tutti. OggiAggiungi un appuntamento per oggi lo stabilimento di Melfi, un tempo fiore all’occhiello di un’azienda che si lanciava nel mercato globale, occupa circa 5600 lavoratori.  Con l’indotto si sfiorano i 10.000 occupati. Che cosa può significare la chiusura o il fortissimo ridimensionamento della Sata per una economia come quella della regione Basilicata che conta 560.000 abitanti? Semplicemente un disastro.

L’assoluta indifferenza dell’esecutivo dei tecnici non è dovuta a distrazione.  Non si può ritenere infatti  una casualità che un governo di professori, economisti, banchieri rimanga silenzioso e inerte  di fronte ad una catastrofe nazionale quale quello che si sta verificando e si sta prefigurando alla Fiat