Coppie di fatto omosessuali. La cassa previdenziale non può rifiutare l’iscrizione del compagno del bancario gay se la consente tra i conviventi “more uxorio” di diverso sesso

12 Settembre 2012 0 Di redazione

Da Giovanni D’Agata riceviamo e pubblichiamo:
Una sentenza che farà discutere, la numero 7176/12 depositata il 31 agosto scorso dalla sezione lavoro della Corte d’appello di Milano in materia di diritti delle coppie omosessuali in un momento in cui è forte il dibattito nel Paese sul tema.

Per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti” ha del sensazionale il principio espresso secondo cui se la cassa mutua nazionale di categoria riconosce la facoltà d’iscrizione anche al convivente “more uxorio” del lavoratore, allora non può negare il diritto alle prestazioni assistenziali alla coppia gay. Costituisce, infatti, un arbitrio, anche in termine di discriminazione, il rifiuto opposto sulla sola circostanza che la stabile relazione di fatto necessaria ai fini dell’iscrizione intercorra fra due persone dello stesso sesso.

Secondo la corte di merito, lo statuto che disciplina l’accesso ai trattamenti integrativi al Servizio Sanitario Nazionale, infatti, deve essere interpretato secondo il principio della buona fede.

Nel caso di specie, la cassa mutua di categoria aveva rifiutato l’iscrizione dello storico compagno di un bancario nonostante questi avesse versato regolarmente il contributo in busta paga.

Innanzitutto la convivenza fra i due uomini risulta essere stabile come risulta dal certificato anagrafico rilasciato dal Comune di Milano che attesta come fra i due sia costituita una famiglia anagrafica.

Il bancario, poi, risulta soggetto terzo titolare di uno specifico affidamento sul significato dello statuto della Cassa e delle relative istruzioni operative. Nello statuto, infatti, non sussiste alcuna indicazione secondo cui il convivente more uxorio da iscrivere all’assistenza integrativa debba essere persona di sesso diverso dal lavoratore già beneficiario delle prestazioni assistenziali. Spiegano i giudici, infatti, che interpretare le disposizioni secondo buona fede, vuol dire anche dare rilevanza alla realtà economica in cui il contratto è destinato inserirsi.

Se è pur vero che in Italia le coppie dello stesso sesso non possono sposarsi né ottenere la trascrizione del matrimonio contratto all’estero è anche corretto precisare che rispetto a «specifiche situazioni» come l’assistenza sanitaria le stesse coppie possono adire il giudice ordinario per ottenere il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata. Cosa che infatti è accaduta con l’importante decisione.