“Donne di antimafia: la storia di Lea Garofalo” in un convegno dell’associazione ‘Antonino Caponnetto’

25 Marzo 2013 0 Di Felice Pensabene

Un convegno, quello che si è svolto alla biblioteca “P. Malatesta” ed organizzato dall’associazione contro le illegalità e le mafie “Antonino Caponnetto” e “I Cittadini contro le mafie e la corruzione”, con il patrocinio del Comune di Cassino,  apparentemente ” irrituale” rispetto alla linea consolidata di un’Associazione antimafia quale è la Caponnetto la cui attenzione è più rivolta ai fatti del presente e del futuro che non a quelli del …passato, ma che, visto nel contesto delle azioni finora promosse dalla stessa, ha voluto assumere un significato “altro” ed “alto” e, quindi, tutto “attuale”. Il convegno è stata l’occasione per presentare il  libro “Il coraggio di dire no” di  Lea Garofalo, la donna che sfidò la ‘ndrangheta” scritto dal giornalista d’inchiesta molisano Paolo De Chiara e sarà l’occasione per ricordare l’emblematica figura di questa testimone di giustizia che da sola, senza l’aiuto dello Stato, ha sconfitto un intero clan di ‘ndrangheta, permettendo che tutti i suoi carnefici venissero condannati all’ergastolo.

Per Elvio Di Cesare, Segretario Nazionale Associazione ANTONINO CAPONNETTO,  “Il coraggio di dire no” esprime indubbio il messaggio che le donne possono fare la differenza anche all’interno di una realtà vigliacca e spietata come la criminalità organizzata.  Lea non ha avuto paura di ribellarsi, non ha voltato omertosamente la testa dall’altra parte. Avrebbe potuto scegliere il ben più comodo ruolo di “donna di mafia”, ma ha deciso di dire “NO”, di stigmatizzare quegli schemi criminosi in cui era nata e cresciuta fino a ribaltarli, in nome dell’amore per sua figlia Denise, un amore più forte delle minacce e delle intimidazioni subite per anni, più forte dell’indifferenza dello Stato che non ha ascoltato il suo appello, più forte anche della morte superata e vinta dall’esempio di vera “donna di antimafia” che oggi per ognuno di noi rappresenta.  L’esempio di una donna coraggiosa, come Lea Garofalo che ha sacrificato i propri affetti prima ed addirittura la propria vita per non piegarsi alla violenza morale e fisica dei mafiosi -anche se appartenenti alla propria cerchia familiare – é stato interpretato e presentato come uno stimolo a tutta la collettività delle persone perbene a combattere e denunciare quelle violenze e coloro che se ne rendono autori. Violenze, purtroppo, che trovano origine e sostanza soprattutto dai e nei tanti silenzi e nella voluta disattenzione della società civile e di chi la rappresenta nelle dimensioni politica ed anche istituzionale. In quest’ottica ci hanno fatto un particolare piacere intanto la bravura ,il coraggio e l’onestà intellettuale di un giornalista come Paolo De Chiara, autore del libro che ricorda il sacrificio di Lea Garofalo, oltre che dell’Editore Falco, e, poi, la presenza attiva ,significativa e coinvolgente del Procuratore D’Alterio, coordinatore della DDA di Campobasso, che, a nostro avviso, ha voluto testimoniare che non tutte le istituzioni sono “distratte” in presenza del fenomeno mafioso. Un messaggio importante, quello suo, del quale gli siamo profondamente grati. Per concludere, il significato del Convegno di Cassino va individuato e letto oltrepassando gli stretti confini della commemorazione in quanto esso si va ad innestare in quello, tutto attuale, che riguarda le condizioni generali in cui sono costretti a vivere i Testimoni di Giustizia, categoria di persone fra le quali sicuramente può essere iscritta Lea Garofalo. Una categoria di pochissime persone in Italia, come poche sono appunto le persone coraggiose in questo disgraziato Paese, che, dopo aver reso un servizio allo Stato di diritto ed all’intero Paese, vengono completamente abbandonate , lasciate sole, anche quando esse, di fronte al rischio di una morte quasi certa ad opera dei criminali che hanno denunciato, chiedono disperatamente aiuto. Sì, appunto come si sarebbe verificato per Lea Garofalo, la quale, secondo quanto riferitoci da un amico informato, prima di essere uccisa e poi sciolta nell’acido, avrebbe invocato, non ascoltata, aiuto”.

Igor Fonte, consigliere comunale, “Bellissima iniziativa dell’Associazione Caponnetto, a cui ho avuto il piacere di partecipare. Utilissima anche per far conoscere alla città di Cassino la figura di Lea Garofalo, personaggio con forti affinità con Peppino Impastato. Questa iniziativa è la riprova che a Cassino ci sono forze sane come la Caponnetto e l’Impastato che lavoreranno sempre per la diffusione della cultura della legalità”.

 

“Dal mio punto di vista, quello che è emerso dalla presentazione del libro di Paolo De Chiara  – ha detto  Paola Primiceri, coordinatore dell’ufficio del giudice di Pace – è che non solo i testimoni di giustizia ma le stesse istituzioni sono state lasciate sole. Il fatto che Lea Garofalo sia stata massacrata di botte e uccisa, nonostante le procedure previste dallo Stato per la sua salvaguardia siano state tutte attivate e abbiano funzionato come un orologio, secondo quanto dichiarato dal Procuratore D’Alterio; il fatto che cada nel vuoto ogni richiesta d’aiuto e attenzione, come evidenziato dal giornalista del Fatto Quotidiano, Enrico Fierro, denunziano l’impotenza dello Stato se non v’è il supporto costante della società civile. L’indifferenza dell’opinione pubblica per il sacrificio degli altri e per le ragioni della giustizia, come se fossero qualcosa di avulso dalla vita quotidiana, denota non solo cinismo ma l’incapacità di leggere l’insieme. Incapacità di comprendere cosa vuol dire per il nostro sistema economico il fatto che vi siano dei veri e propri “buchi neri” sul territorio nazionale, dove è impossibile per le persone comuni svolgere le attività comuni secondo le regole comuni. Questi “buchi neri” infettano, dilagando ovunque, il territorio nazionale. La ricerca di scorciatoie per ottenere denaro, lavoro e benessere con facilità, senza merito e sacrificio, provoca un compromesso e un comportamento compiacente con il crimine. L’assenza di critica e autocritica elimina alla radice ogni dubbio con l’autoassoluzione. La soluzione è l’impegno per stimolare l’opinione pubblica”.

“Occasioni di incontro come questa – ha ribadito Letizia Giancola –  sono fondamentali per non dimenticare che, nei confronti di eroi solitari come Lea Garofalo, abbiamo tutti il dovere della memoria. Questa donna impavida, da sola e senza l’aiuto dello Stato, ha fatto molto per tutti noi e rappresenta  un appuntamento per oggi un forte esempio di legalità che sopravvive al vuoto che ha lasciato, un esempio che deve essere portato all’attenzione soprattutto delle giovani generazioni. Per questo credo che “Il coraggio di dire no” sia un libro che debba entrare nelle scuole come testo didattico, perché possa aiutare i nostri ragazzi a costruirsi una coscienza sensibile ed attenta nei riguardi di storie “scomode” come quella di Lea e a schierarsi con consapevolezza contro ogni forma di mafiosità e di ingiustizia. Certo non a caso l’Autore ha voluto dedicare questo libro a tutti coloro che combattono per la legalità e sono convinta che cominciare dai giovani, compresi i più piccoli, sia il migliore auspicio per vincere questa battaglia”.

“Le donne possono sconfiggere le mafie. Non è una rivendicazione di genere, non è l’ennesima sterile autocelebrazione femminista, non è uno spot da pari opportunità. E’ quanto emerso dalla discussione che ha accompagnato la presentazione del libro di Paolo De Chiara “Il coraggio di dire no”, tenutasi a Cassino venerdì 22 marzo 2013. Ha detto Patrizia Menanno , dell’associazione ‘Antonino Caponnetto  –  gli interventi dei relatori di caratura nazionale, dal Procuratore Capo della DDA di Campobasso, dr. Armando D’Alterio, ai giornalisti Enrico Fierro, Nello Trocchia e Paolo de Chiara, autore del libro, hanno evidenziato che la realtà delle mafie è tutto sommato poco dinamica, se si prescinde ovviamente dall’adeguamento degli obiettivi, dei mezzi e della struttura, in quanto un dato è rimasto immutato dall’origine del fenomeno ed è quello della centralità della figura femminile. Come emerge dalle indagini giudiziarie a partire dalla fine degli anni ’80, però, il ruolo della donna è andato potenziandosi, assumendo una rilevanza sempre essenziale all’interno del clan ma molto più spesso anche esterna ad esso. Già Leonardo Sciascia accusava le donne del Sud di essere l’origine dei tanti mali e capaci delle peggiori nefandezze perchè “provocano, istigano e incoraggiano delitti d’onore” e, in tempi più recenti, molti collaboratori di giustizia hanno rivelato, confermando le tesi di Sciascia, che le donne non solo sanno tutto perchè le riunioni si svolgono in casa, dove sono anche custodite armi, munizioni, denaro e ove, spesso, avviene anche la preparazione della droga, ma assumono un ruolo di facenti funzioni mentre i mariti sono latitanti o in carcere. In ogni caso, un appuntamento per oggi come allora il più essenziale – e tremendo – compito delle donne è quello di tramandare il codice culturale mafioso ai figli, educandoli alla “mafiosità” e non disvelando loro mai l’esistenza e la possibilità di una vita alternativa. I figli dei mafiosi conoscono solo “quella” realtà che viene trasmessa in famiglia, principalmente dalle mamme ed è quindi considerata quella più “sicura” e “giusta”. Non sarà un caso se per definire un capo di mafia si utilizza, sebbene al maschile, il termine di “mammasantissima” !! Ed è per questo che le donne possono fare la differenza: le donne che come Lea hanno amato i figli più della loro stessa vita che hanno consapevolmente sacrificato per permettere ai figli una vita “libera”. Lea ha insegnato a Denise che, pur nascendo condannate come loro perchè nate da famiglie mafiose, il libero arbitrio, la scelta fatta con la ragione e il cuore, la volontà di modificare quello che sembra il corso inesorabile di una vita già scritta, possono affrancare da un destino segnato se non lo si condivide. Certo Lea non c’è più. Ha pagato con la sua vita la sua ribellione. Ma la sua morte non è stata inutile: intanto, perchè un intero clan è in carcere e vi resterà per sempre; poi, perchè la sua morte ha affrancato definitivamente Denise che  oggi ha anche potuto adottare il cognome materno e, infine, perchè le idee di Lea cammineranno per sempre sulle gambe della figlia, della sorella e di altre donne che vorranno essere orgogliose madri di uomini liberi educati all’impegno in una vita improntata al rispetto di se stessi, degli altri e della legalità. Come diceva Falcone è vero che la mafia come tutti i fenomeni umani ha avuto un inizio e avrà una fine ma se Falcone fosse ancora in vita oggi forse aggiungerebbe “è un fenomeno originato e perpetuato dalle donne e, quindi, sono le donne che dovranno porre fine ad esso”.

F. Pensabene

Foto A. Ceccon

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