Parto in casa, ora anche nel Lazio si può, primo rimborso in provincia di Frosinone. L’esperienza di Simona Capogna

17 Luglio 2013 0 Di Felice Pensabene

Un anno fa è nata mia figlia Matilde. A Roma. A casa della nonna. Inizia così il racconto di un’esperienza unica che forse solo le nostre nonne potrebbero descrivere per averla vissuta in tempi ormai molto lontani. Ora a raccontarla, per averla vissuta intensamente è Simona Capogna, mamma della piccola Matilde e di Guglielmo.

Il parto in casa è stata una scelta voluta e desiderata e si è rivelata un’esperienza indimenticabile. Il dolore del travaglio è stato attutito dall’intimità del luogo, dagli abbracci di mio marito e dall’assistenza di due ostetriche meravigliose (che all’apice delle contrazioni non facevano visite invasive, ma massaggi calmanti nella zona dei reni). Ho potuto rilassarmi con una doccia, camminare, accovacciarmi, senza che nessuno interferisse e in piena libertà. Ma soprattutto ho potuto dare fiducia al mio corpo di donna di generare una vita, senza la necessità di dover delegare ad altri questo compito. Scegliere il parto in casa, comunque, non è stato semplice. E raccontare questa storia credo che possa aiutare altre donne ad intraprendere lo stesso cammino.

Il primo scoglio da superare è stata la mia paura. Informandomi, però, mi sono resa conto che il parto in casa, quando le condizioni fisiche del nascituro e della madre lo permettono, è tanto sicuro quanto quello dell’ospedale. In Olanda, ad esempio, il 30% dei parti avviene in casa e le percentuali di complicazioni sono più basse di quelle dell’ospedale.

Il secondo scoglio è stata la paura degli altri. Il parto, in Italia, ha raggiunto un tale livello di industrializzazione che ormai tutti sono convinti che partorire in modo naturale sia un “miracolo”, una fortuna che capita a poche. Invece, la cosa strana è che siamo diventati il paese europeo con il maggior numero di parti cesarei (circa il 40%) a causa, non dell’incapacità di partorire delle donne, ma dei forti interessi economici che inducono a prediligere un parto medicalizzato, remunerativo quanto un intervento chirurgico…

Il terzo scoglio è stato il costo: per partorire in casa bisogna contattare ostetriche libere professioniste che operano privatamente.

La bella notizia, che ho appreso durante la gravidanza, è che nella Regione Lazio, e in poche altre regioni italiane, esiste una legge ad hoc che permette di richiedere un rimborso economico, presentando alla propria ASL di riferimento, prima del parto, una richiesta dettagliata e, dopo la nascita, la fattura con l’importo pagato (legge n.29 del 1° aprile 2011). Il motivo è molto semplice: per il servizio sanitario una donna che partorisce in casa costituisce un risparmio, perché si evitano il ricovero, la degenza e gli interventi medicalizzati.

Però, affermare il diritto di rimborso all’inizio è sembrato una “mission impossible”: sembravo una pioniera che si stava avventurando in una terra sconosciuta; nessuno sapeva fornirmi un’indicazione chiara di quello che avrei dovuto fare.

Ma non mi sono lasciata scoraggiare e la storia si è conclusa con un lieto fine: la ASL di Frosinone, qualche mese fa, ha rimborsato l’importo della fattura presentata presso il Distretto di Cassino (D). I dirigenti della ASL, nonostante la mia risultasse la prima richiesta nella provincia, hanno valutato attentamente il caso e hanno saputo dare concretezza agli intenti della legge regionale.

Per molte altre donne questo potrebbe rappresentare un precedente importante e per questo mi sento in dovere di divulgarlo per quanto mi è possibile.