E’ morto Sergej Belov, il sergente di ferro che fece del Basket Cassino una bella favola sportiva

5 Ottobre 2013 0 Di redazione

La sua venuta ha rappresentato non solo per lo sport del territorio, ma per l’intera città di Cassino, un momento di grande visibilità e lustro. Sergej Aleksandrovič Belov, il giocatore di basket europeo più blasonato al mondo, aveva scelto la città martire per l’unica sua puntata sportiva al di fuori della Russia. Giovedì il sergente di ferro, così veniva chiamato l’uomo che annientò con un canestro all’ultimo secondo la nazionale Usa nella storica finale del 1972, è morto a 69 anni per un male contro il quale ha combattuto per circa 8 mesi. Era l’estate del 1990 quando la notizia cominciò a girare per Cassino accolta come un pesce d’aprile fuori periodo. Il grande campione aveva accettato di allenare la squadra di basket locale che militava nella serie B2. Un po’ come se Pelè avesse accettato di allenare la locale squadra di calcio. Non era uno scherzo, la famiglia Longo, ed in particolare il presidente Umberto, era riuscita a mettere a segno un colpo di mercato clamoroso: affidare le redini della squadra ad un allenatore che aveva vinto in carriera da giocatore cinque volte gli europei, due volte i mondiali e una volata le olimpiadi clicca e guarda il video. “Per averlo – ricorda il presidente Umberto Longo – Abbiamo dovuto fare un duro lavoro di diplomazia. Erano ancora gli anni della guerra fredda e, anche se campione ineguagliabile, non poteva essere tesserato e per questo non gli è mai stato concesso di sedere in panchina. Quando è arrivato da noi, grazie ad una stretta conoscenza che avevo con il suo procuratore di Caserta, aveva già abbondantemente superato i quarant’anni e da almeno 10 aveva smesso di giocare ma, fisicamente e nella resistenza, un giovane difficilmente riusciva a tenergli testa. L’ingaggio era pesante per la categoria, ma sapevamo che valeva la pena per la vetrina che si sarebbe aperta per la nostra squadra. E non sbagliavamo dato che al palazzetto di Cassino arrivava gente da ogni parte della Regione ed anche da fuori solo per potergli stringere la mano o chiedere l’autografo. Ricordo che gli arbitri, prima di iniziare a giocare, gli si avvicinavano e chiedevano l’autografo. E’ stato un periodo magnifico per il basket cassinate che ha fatto riscoprire lo sport a tanta gente”. Sergente di ferro, lo chiamavano per via del suo passato da graduato nel Kgb dell’Unione Sovietica, ma a dispetto di quel nome, umanamente era tutt’altro. “Al di la delle sue doti sportive, erano quelle umane che lo rendevano speciale – continua Longo – Era cortese ed educatissimo. Amava Cassino tanto che non approfittò mai dei due viaggi annui pagati per la Russia che il contratto prevedeva. Anzi, fece venire a Cassino la sua famiglia e il figlio, tra l’altro un buon giocatore, fece la terza media proprio nella città martire”. Scaduti i tre anni di contratto, il sergente di ferro decise di tornarsene in Russia dove divenne dirigente sportivo e presidente della federazione di basket. Cassino, però, gli è rimasta nel cuore e nel curriculum; fa un certo effetto leggere il nome della città tra quelle in cui lui ha giocato e allenato: Ural, Cska, Urss, Russia, Cassino. Con la sua morte lo sport ha perso un mito, l’uomo che ha annientato l’armata invincibile Usa che, sentendosi umiliata, non ritirò neanche la medaglia d’argento di quel Mondiale e che ha fatto vivere alla squadra di Cassino, momenti di entusiasmo vero.
Ermanno Amedei