Il Basso Lazio nella morsa usuraria della camorra, “Se non paghi andiamo a finire malamente”. Eseguiti 18 provvedimenti restrittivi

9 Dicembre 2013 0 Di redazione

Gli uomini della Questura di Frosinone hanno eseguito questa mattina 18 provvedimenti restrittivi nei confronti di affiliati al clan camorristico “Perfetto”, diretta espressione del “Gruppo La Torre”.
Le indagini partono nel 2011 dal Commissariato P.S. di Cassino a seguito di un primo episodio di usura ed estorsione a danno di alcuni imprenditori operanti tra Cassino ed il Basso Lazio.
Intimiditi dagli atteggiamenti mafiosi dei camorristi, nessuno imprenditore ha voluto collaborare con la Polizia di Stato che, coordinata dalla Direzione Distrettuale di Napoli, ha dovuto avviare una riservatissima attività investigativa durata oltre due anni.
Gli uomini del Commissariato di Cassino hanno intercettato una donna-imprenditore mentre veniva minacciata dal “contabile” dell’organizzazione incaricato della riscossione del denaro: “DOMANI MATTINA DEVO AVERE TUTTI I SOLDI, SENNO’ ANDIAMO A FINIRE MALAMENTE”.
Ulteriori episodi intercettati dimostrano il coinvolgimento di altri imprenditori ed esercenti attività commerciali che, in un periodo di crisi economica, dapprima accettavano le proposte dell’organizzazione di accedere a somme di denaro e poi venivano costretti a cedere beni personali ed attività imprenditoriali per far fronte ai debiti contratti: un giro da milioni di euro che ha messo in ginocchio molte attività imprenditoriali nel Basso Lazio.
Seguono altri episodi nel Cassinate che coinvolgono imprenditori ed esercenti attività commerciali.
Il gruppo camorristico approfittava, quindi, dello stato di bisogno delle vittime concedendo prestiti per i quali, poi, pretendeva oltre alla restituzione del capitale ingenti maggiorazioni di interessi usurari, ottenendoli grazie alla forte intimidazione esercitata ricorrendo a concrete minacce che andavano dalla sottrazione dei beni e cessione dell’attività fino ad arrivare a quelle di morte.
Le indagini si allargano a macchia d’olio e consentono alla Polizia di Stato di intercettare la Road Map della camorra.
Si arriva nell’Agro di Mondragone, militarmente controllato dal clan “Perfetto”: se ne individua il capo, il luogotenente, coordinatore del braccio armato, nonché i mediatori, il cassiere ed i gregari.
Nel gruppo camorristico, costituito prevalentemente da uomini, anche la moglie di Renato VALLANZASCA, noto esponente della criminalità a partire dagli anni 70, più volte condannato per gravi reati.
La donna, secondo le risultanze investigative, è apparsa strettamente legata ai vertici del clan mondragonese, come anche ad alcuni esponenti del sodalizio ESPOSITO, radicato nel territorio di Sessa Aurunca.
Secondo l’ipotesi accusatoria, risulta in particolare che la stessa abbia svolto un ruolo di intermediazione in un’operazione di acquisizione di un hotel a Mondragone e in alcune vicende usurarie.
L’attività di indagine ha inoltre consentito di raccogliere anche elementi riguardanti il coinvolgimento del VALLANZASCA, che, sebbene detenuto da più di trent’anni, risulta aver mantenuto rapporti con contesti criminali.
La violenta forza intimidatrice del gruppo, che si è concretizzata oltre che in minacce anche in vere e proprie aggressioni fisiche e ripetuti atti di terrorismo psicologico, ha consentito al clan di recuperare ingenti somme di denaro che, opportunamente riciclato, ha costituito un’occasione d’oro per l’organizzazione allo scopo di rilevare attività ovvero per comprare il marchio lasciando il vecchio gestore come “testa di legno” o inserendo un familiare fidato per schermare la proprietà.
Settore privilegiato per il reinvestimento dei capitali sporchi è quello alimentare ed, in particolare, della ristorazione.
Si è passati infatti dai cosiddetti locali “di mala” a vere e proprie attività in franchising della rete “Ristomafia S.p.A.” in grado di soddisfare tutti i palati perché adatto ad ogni portafoglio.
Una trovata vincente in pieno tempo di crisi quella di investire nel campo alimentare, l’unico che riesce a sopravvivere provocando, però, un avvelenamento dell’economia di settore.
Le indagini della Polizia di Stato si sono, quindi, concluse con gli arresti per associazione a delinquere di stampo mafioso (416 bis CP) nonché per usura ed estorsione, eseguiti nelle province di Caserta, Latina, Milano, Napoli e Terni ed il sequestro di 5 società, bar, ristoranti e di tutti i beni mobili ed immobili degli indagati per un valore di oltre 2 milioni di euro.
Tra le persone arrestate, vi è anche un commercialista contiguo al sodalizio che, in più occasioni ed in prima persona, sarebbe intervenuto per favorire l’occultamento di beni immobili e società acquisiti dagli affiliati con i proventi delle attività criminali.
Nelle conversazioni intercettate è emerso, infatti, che il professionista, mettendo a disposizione le sue conoscenze professionali e la fitta rete di relazioni con notai, avvocati ed altri professionisti, ha agito allo scopo di sottrarre i beni del sodalizio e degli affiliati alle aggressioni giudiziarie.
Dalle indagini è inoltre emerso che anche un’impiegata dell’ASL di Cellole si è rivolta ai componenti del sodalizio criminale per recuperare una somma di denaro concessa in prestito, ben consapevole del loro spessore criminale e dei metodi utilizzati per raggiungere gli obiettivi prefissati.
All’operazione hanno collaborato le Squadre Mobili di Caserta e di Latina.