Fare Verde: Salviamo i fiumi Gari e Rapido

23 Ottobre 2014 0 Di Felice Pensabene

L’Associazione ecologica Fare Verde lancia un grido di allarme perché i fiumi italiani non sono i reali “colpevoli” delle alluvioni. Nonostante gli obblighi di legge, per gli oltre 8mila “corpi idrici”, non ci sono né controlli né attenzione e nè manutenzione.
Canalizzati, inquinati, costretti in percorsi forzati, con gli alvei alterati per grandi opere o prese idroelettriche. Sono i fiumi italiani, veri architetti del paesaggio, che il nostro Paese si è persino dimenticato di conoscere. Lacuna di cui il 22 dicembre 2015 potrebbe esser chiamato a risponderne. Quel giorno, infatti, l’Italia dovrà dimostrare all’Unione europea -che già dal 2007 ha avviato una procedura di infrazione a riguardo- di aver raggiunto gli obiettivi ambientali imposti dalla cosiddetta “direttiva acque”, approvata nel 2000 dal Parlamento e dal Consiglio europeo. Tra i suoi primi “scopi”, la norma comunitaria contemplava il contrasto ad “un ulteriore deterioramento” al fine di “proteggere e migliorare […] lo stato degli ecosistemi acquatici e degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico”. Tradotto: difendere quel patrimonio di biodiversità e territorio rappresentato dai corsi d’acqua, i laghi, le acque sotterranee. Gli ultimi dati riferiti a quel che è stato fatto dall’Italia in materia di qualità delle acque nei primi dieci anni dall’approvazione della direttiva -recepita, con il rituale ritardo, tramite il decreto 152 del 2006- sono allarmanti.

Da quanto emerge infatti dalla “Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione della direttiva quadro sulle acque (2000/depositata nel novembre del 2012 a proposito dell’Italia, “lo stato (ecologico, quindi della vita al loro interno, ) di poco più della metà dei corpi idrici superficiali italiani non è stato determinato”. E non è poco, visto che i “corpi idrici superficiali” presi in considerazione erano complessivamente 8.614, e di questi per l’88% fiumi (7.644). Un esito ancora più infausto è toccato poi allo “stato chimico” dei fiumi e dei laghi (e non solo) compresi negli otto bacini idrografici del Paese – che sono le Alpi orientali, il Bacino del Po, l’Appennino settentrionale, il Serchio, l’Appennino centrale, quello meridionale, la Sardegna e la Sicilia: – a questo proposito la Commissione ha descritto come “non noto” lo scenario di “oltre tre quarti dei corpi idrici superficiali in Italia”.
Ma non è solo il cemento ad aver alterato la vita dei fiumi. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha di nuovo riconosciuto – nell’ambito di un manuale sul sistema di valutazione dei corsi d’acqua del giugno 2014 – che “in particolar modo negli ultimi 50-60 anni, la morfologia e la dinamica della maggior parte dei fiumi italiani hanno subìto delle profonde trasformazioni, soprattutto a causa di vari interventi antropici”: costruzione di dighe, prelievo di sedimenti dagli alvei, interventi di canalizzazione, variazioni di uso del suolo.

“L’entità delle variazioni subite dagli alvei è stata considerevole […] e la larghezza ha subito generalmente una riduzione superiore al 50%, fino a valori dell’85-90%, mentre l’abbassamento del fondo è stato dell’ordine di alcuni metri ma, localmente, anche di 10-12 metri”.
Dunque è necessario (ri)conoscere e riqualificare, come del resto dal 1999 fa in maniera del tutto volontaria l’associazione di tecnici ed esperti del Centro italiano per la riqualificazione fluviale:
“I fiumi non trasportano solo acqua ma anche sedimenti, energia, vita (come fauna ittica e altre specie). Forniscono servizi: acqua, per scopi irrigui, permettendoci di liberarci dei reflui, e sono vie di trasporto, di sviluppo, centrali anche per la pesca. ”.
Il D.Lgs. 16.1.2008, n° 4 ha modificato il D.Lgs 152/2006, che detta norme in materia ambientale. All’art.3-ter introduce nella legislazione italiana il principio della Precauzione, previsto dal Trattato Comunitario all’art.174.
Il principio della Precauzione è una novità nel nostro ordinamento, estraneo alla tradizione culturale giuridica del nostro paese e, pertanto, è poco conosciuto e raramente applicato.
Si cita il suddetto art.3-ter del Codice dell’Ambiente (il D.Lgs.152/06):
“ La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale.”
A sua volta, l’art.174, comma 2 del Titolo XIX TRATTATO CE riporta che:
La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio«chi inquina paga».
In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell’ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura comunitaria di controllo.
r i l e v a t o
– come è esplicitato sopra è utile rammentare che il principio della Precauzione è distinto e diverso dal principio della Prevenzione e dal principio dell’obbligo di bonifica. A tal proposito e sull’obbligo di provvedere anche in presenza di incertezza scientifica,
– diverse recenti sentenze della Corte Europea e della Corte Costituzionale italiana hanno precisato il contenuto del principio di Precauzione. Di seguito si riportano alcune sentenze e studi, che chiariscono bene quando e da chi tale principio deve essere applicato,
Рun primo chiarimento ̬ dato da una sentenza della Corte europea: (Trib. CE, Seconda Sezione ampliata, 26 novembre 2002, T-74/00 Artegodan), dove si legge che:
“il principio di precauzione è il principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici”,
– come si legge, si prescrivono le necessità di provvedimenti per eliminare i rischi potenziali e non solo i rischi certi, siamo abituati a chiedere interventi per eliminare le cause del danno, a posteriori dell’evento dannoso (vedi il decreto Ronchi del ’97)… In sostanza la legge ora impone di intervenire sia come precauzione in caso di incertezza, sia per prevenire in caso di rischi certi consente di concepire l’omissione, qualora non si intervenga in caso di rischio potenziale,
c o n s i d e r a t o
– il Sindaco, massima autorità in fatto di salute pubblica e di protezione civile, generalmente si deresponsabilizza dietro i pareri degli organi tecnici, spetta al Sindaco, ora, di stabilire il livello del rischio accettabile o non accettabile. Questo è il punto che il Sindaco deve assumere e di non evitarlo.
A conferma del potere del Sindaco, la Commissione Europea scrive in una sua Comunicazione sul principio di Precauzione (COM 2002-1) che la decisione è prettamente politica e non tecnica come si legge nella comunicazione della commissione sul principio di precauzione – Bruxelles, 2/2/2000.
Di più: il Sindaco non può rifiutarsi di operare scelte e assumere un parere in coerenza con il principio di Precauzione, anche in virtù degli artt. 50 e 54 del decreto legislativo 267/2000. A tale riguardo si vede la sentenza del TAR di Puglia, Lecce, Sezione Prima del 7/7/2009, in questo caso un Comitato ha chiesto e ottenuto che il Sindaco di Taranto debba applicare tale principio.
Il principio comunitario di Precauzione viene oggi richiamato anche dal Consiglio di Stato con sentenza Sez. V 1 luglio 2005 (C.C. 28/1/2005) sentenza N. 3677, per riformare sentenze che non ne abbiano tenuto in debito conto.
Infine, Fare Verde, segnala che all’altezza del “Quinto ponte” sulla Casilina Sud, comune di Cassino, vi sono due alberi caduti in mezzo al letto del fiume Rapido, ed altri alberi lungo il suo corso naturale, anche nel corso del fiume Gari, la manutenzione dell’ingresso del fiume Rapido in territorio di Sant’Elia Fiumerapido da erbacce e rifiuti che ostruiscono il deflusso delle acque, si chiede all’ARDIS, unico Ente deputato alla manutenzione del fiume Rapido e Gari ad un sollecito intervento che ponga in essere tutti gli interventi possibili, rimuovere gli alberi che ostruiscono il deflusso delle acque dei fiumi, rifiuti, onde evitare in caso di piogge torrenziali, una alluvione del territorio cassinate ed evitare gravi danni alla popolazione e al territorio e di attivare il Principio della Precauzione.