Incontriamoci a Veroli. A lezione di mafia da Lirio Abbate: “Roma come Palermo”

Incontriamoci a Veroli. A lezione di mafia da Lirio Abbate: “Roma come Palermo”

23 Giugno 2015 0 Di redazione

E’ stata una lezione sulla mafia quella tenuta da Lirio Abbate a Veroli nel Chiostro di Sant’Agostino dove ha presentato il suo libro “I quattro re di Roma” scritto insieme a Marco Lillo e pubblicato da Chiarelettere. Una lezione che ha permesso di sottolineare il concetto di mafia, da tempo non più legata ad un’area geografica, ma ad un modo di fare, ad un sistema. Una lezione che ha dato un nome ed un cognome a ciò che sta accade a Roma, senza mezzi termini: la formazione di un nuovo sistema mafioso fatto di malviventi e colletti bianchi che opera in tutto il suo perimetro artificiale del Gran Raccordo Anulare. Abbate arriva nel Chiostro di Sant’Agostino sotto scorta. In quel luogo l’amministrazione comunale di Veroli, il cui sindaco Simone Cretaro e assessore alla cultura Cristina Verro, hanno piazzato il quartier generale dell’iniziativa culturale di altissimo livello “Incontriamoci a Veroli” che ospiterà, con la collaborazione delle libreria Ubik, i più grandi autori di libri del momento.

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Cultura, quindi, è il punto di forza del cartellone estivo di Veroli, ma è anche l’unica via di uscita che Abbate indica per tentare una risalita dal baratro dell’illegalità.

Abbate è giornalista di L’Espresso, da palermitano, intervistato da Alessio Porcu direttore di TeleUniverso, dice: “Sono stato anni a Palermo dove la mafia è presente in ogni angolo. Se vivi in quegli ambienti impari a riconoscere la mentalità dei mafiosi. Quando sono arrivato a Roma l’ho riconosciuta subito”. Siamo nel 2012 quando l’accostamento Roma-Mafia faceva ancora ridere perché i carabinieri del Ros ancora non aveva iniziato a lavorare sul “Mondo di Mezzo”. Lo inizieranno a fare proprio grazie ad un servizio pubblicato da L’Espresso a firma di Abbate.

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La scintilla arriva da una circostanza “Un confronto – ricorda il giornalista – tra un mio amico e un imprenditore che si lamentava perché non poteva costruire un palazzo in un posto perché soggetto a determinati vincoli che glielo impedivano. L’amico gli disse: l’unico che ti può aiutare è Massimo Carminati, lo trovi tutti i giorni all’area di servizio. Io quel Carminati me lo ricordavo al processo Pecorelli. Incuriosito l’ho cercato e l’ho trovato proprio nell’area di servizio indicata, su una panchina mentre riceveva gente come l’imprenditore disperato. Lo seguivano nei bar, nei negozio come fossero questuanti. Ho individuato poi la sua auto, una Fiat Punto e dalla targa ho scoperto che non era intestata a lui ma all’azienda Palombini, quella del caffè. Ti chiedi perché uno così potente viaggia su una Punto e perché la Palombini dava un’auto a Carminati. Scopri poi che lo stesso Carminati negli ultimi 10 anni aveva dichiarato 5mila euro di reddito. Messe insieme queste cose capisci che qualcosa non va. Lavorando, poi capisci anche grazie a fonti criminali che Roma è divisa in quattro spicchi, uno di Carminati, uno dei Senese, i Fasciano e casamonica: I quattro Re di Roma, appunto. L’Espresso ci fece la copertina e Carminati non la prese bene”. A tratti irriverente e provocatore, Abbate ricostruisce la vicenda a tratti schernendo anche quello che sembra essere un capoclan a tutti gli effetti. Sa che di nemici ne ha tanti, ma Carminati certamente è il numero uno e ha i suoi buoni motivi per essere arrabbiato. Al sistema, chiaramente non conviene che si parli di mafia, non conviene che le cose si capiscano. “Mi dicono che a Roma non c’è mafia perché non ci sono omicidi; a Palermo che nel 2014 c’è stato un solo omicidio, allora, neanche lì c’è mafia? Carminati è riuscito a traghettare una banda, quella della Magliana, fino a farla diventare una organizzazione criminale. Ha fatto capire al suo gruppo che loro sono il mondo di mezzo, quello che aiutano chi vive ai terrazzi alti, quelli che non vogliono sporcarsi le mani, ad arrivare al mondo di sotto. Il problema é culturale. Nel libro raccontiamo il tre mondi e quello che li circonda con nomi e cognomi, non è sceneggiatura ma realtà che serve ad aprire gli occhi”.

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L’articolo pubblicato da L’Espresso apre un varco e iniziano le indagini che fin da subito fa rilevare grosse sorprese. Si capisce dalle intercettazioni che l’articolo è servito quasi come forma promozionale del Mondo di Mezzo con la sfacciataggine di imprenditori e politici che, invece di tenerlo a distanza, lo vanno a cercare. “Nelle intercettazione si sente il ‘mondo di sopra’ che cerca quello di ‘mezzo’ perche gli fanno fare affari, o i politici che cercano Carminati perche porta voti. Queste inchieste lo hanno fortificato. Carminati a Roma fa paura come a Palermo spaventavano Riina o Bagarella perché se lo conosci di persona sai quanto è violento”.

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“Ma Mondo di Mezzo esiste perché manca lo Stato?” Gli chiede Porcu. “Mondo di mezzo esiste anche perche manca lo Stato ma questo vale per tutte le mafie.

Matteo Messina Denaro è latitante perché crea consenso popolare, perche dà lavoro in zone in cui non c’è e riesce a mediare controversie senza passare per i carabinieri. La stessa cosa ha fatto Carminati a Roma; è diventato giudice di una economia che è sommersa e criminale.

Quando si avanza un credito non legale si va da Carminati il quale prende una percentuale e ti fa suo affiliato. Quel che deve fare non lo fa di nascosto, ma lo fa alla luce del sole, in luoghi dove tutti possano vedere per dimostrare la sua forza e la sua violenza. Un imprenditore finito nella morsa degli strozzini, ad un certo punto non ce l’ha fatta più a pagare e si è rifiutato. Gli strozzini si sono rivolti a Carminati che ha chiamato l’imprenditore ‘convocandolo’ in piazza Cola di Rienzo, in pieno giorno. Quando l’uomo è arrivato ha trovato un albanese che lo ha massacrato di botte sotto gli occhi dei passanti e dei turisti. Quel messaggio è arrivato a tanti altri che hanno capito come risolvere i loro problemi”.

Abbate ha voluto anche meglio spiegare il suo concetto che la legalità passa per la cultura, perché a tipi come Carminati non si rivolgono solo strozzini e gente del malaffare, ma anche persone per bene, che condannano questi sistemi ma al momento del bisogno scelgono la pericolosa scorciatoia. “La forza del mafioso sta nel vedersi riconoscere il potere da chi lo ha sempre denigrato. L’esempio che mi viene è quello della persona per bene alla quale gli rubano la bicicletta. Invece di andare a fare una inutile denuncia, pensano di rivolgersi al mafiosetto di zona che conosce tutti. Lui ritrova la bicicletta ma: ‘i ragazzi hanno lavorato’; significa che il lavoro va pagato e qualsiasi cifra viene sborsata, serve per finanziare il clan”. Ecco come si corrompe la società e come la società si fa corrompere. Stesso discorso per il lavoro che la mafia propone.

“Dà lavoro ma non versa contributi, ti costringe a lavorare di più senza essere pagato, quindi la mafia non ti dà lavoro ma ti rende schiavo”.

“Non c’è differenza tra Carminati e Matteo Messina Denaro, nessuno spara pur avendo le armi, ma comanda. All’interno del Raccordo anulare è territorio loro e non si commettono omicidi. Dal 2012 non se ne registra uno e se sono riusciti loro a bloccare il fenomeno significa che hanno il controllo del territorio”. Anche sulla droga. “Aveva le mani sui traffici di droga. Lui non spaccia ma gestisce enormi quantità di cocaina dal sud America e stabiliva le quote di distribuzione ma questo non si deve sapere e si è arrabbiato moltissimo quando è stato scritto perche la droga è cosa sporca”.

“Quali sono i confini, se ce ne sono?” gli chiede il direttore di Teleuniverso.

“Non ci sono confini – ribadisce Abbate – se uno che arriva dalla destra estrema riesce a comprarsi quelli di sinistra. La burocrazia è il problema. La burocrazia non la fanno solo le leggi ma anche gli impiegati, quelli in cui la malavita investe più dei politici per comprare. Se si è troppo stanchi per mettere una firma; se si ha un dolore ad un braccio per farlo; se si inventano mille scuse per non apporre quella firma autorizzativa, capisci che c’è bisogno di un aiutino. Il problema è che quando li beccano, dopo le condanne miti perché patteggiate, questi tornano al loro posto e l’amministratore eletto può tentare solamente di spostarlo di ufficio mettendosi a rischio, peraltro, di denunce e ricorsi”. Ecco perché, a proposito di Roma Capitale e delle vicende del suo sindaco Abbate dice: “Marino si fa fottere sotto il naso tutto non per lui, ma per chi gli è stato messo intorno. ‘In tre anni ci mangiamo tutto’ dicevano nelle intercettazioni telefoniche gli uomini di Carminti. Sanno perfettamente che un funzionario o dirigente di settore ha molto più potere di un qualsiasi consigliere comunale. Del resto ci sono politici che si sono venduti per piatti di lenticchie, per 500 o anche mille euro, come ossi gettati a cani, mentre a casa di dirigenti sono state trovate somme fino a 500 mila euro. Ecco perche mi chiedo a che serve sciogliere un consiglio comunale per mafia, se invece la struttura dirigenziale resta al proprio posto? Inoltre – ha concluso il giornalista de L’Espresso – Carminati negli ultimi 10 anni ha dichiarato al Fisco 5mila euro. Adesso è in carcere, il figlio che viaggia da Roma a Milano facendo grossi investimenti. Possibile che ai romani questo non fa incazzare?”.

Il prossimo appuntamento a Veroli è il 25 giugno alle 21 con Concita De Gregorio che presenta il suo libro: “Mi sa che fuori è primavera” sempre nello splendido scenario del Chiostro di Sant’Agostino

Ermanno Amedei

Er. Amedei