Ius Soli, cittadinanza a figli di immigrati: ecco cosa ne pensano i Cassinati

7 Luglio 2017 0 Di redazione

Cassino – È sera, le luci dell’abbazia appese alla montagna scura sembrano renderla quasi un disco volante, da lontano, un oggetto estraneo alla nostra normalità. Annaffiamo le piante sul balcone, la nostra vicina sta ritirando la biancheria ormai asciutta, le sue mani scure spiccano sul bianco delle lenzuola. Scambiamo un cenno di saluto, l’attenzione è catturata dall’odore di spezie che si alza dal ristorante-kebab al limitare della strada, dove prima sorgeva un negozio storico di abbigliamento, ragazzi italiani aspettano il turno ridendo fra loro. Il cameriere arabo che li servirà è su per giù loro coetaneo.

È un frammento rubato all’attualità cassinate, invero uno scorcio traibile da qualsiasi realtà cittadina in Italia e, ormai, nella maggior parte del mondo. Si è così arrivati a parlare di “Ius Soli”, proposta di legge per la quale potranno ottenere la cittadinanza italiana i bambini stranieri nati in Italia, con almeno un genitore in possesso del permesso di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno europeo di lungo periodo. Secondo le stime sono circa 600mila i figli di immigrati nati in Italia oggi, contemplati in un disegno di legge approvato nel 2015 e bloccato da un anno e mezzo in commissione affari costituzionali di palazzo Madama per la forte opposizione di alcuni principali partiti. (Fonte  www.Interno.gov.it)

In base alla riforma, potrà inoltre ottenere la cittadinanza anche il minore straniero nato in Italia o giunto prima di compiere dodici anni che abbia frequentato la scuola per almeno cinque anni o che abbia seguito percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei a ottenere una qualifica professionale.  In questa categoria, dal nome “Ius culturae”, rientrerebbero circa 178mila bambini nati all’estero e che hanno già completato cinque anni di scuola in Italia.

Cassino negli ultimi anni si è guadagnata il titolo di “Città di accoglienza”, in una situazione che oscilla quotidianamente fra progetti di integrazione e difficoltà causate da ambo le parti. Abbiamo quindi dato la parola ai cassinati: commercianti, liberi professionisti, dipendenti pubblici, casalinghe e persino studenti i quali hanno espresso la propria opinione circa la possibile entrata in vigore della legge. Riportiamo per prima l’opinione di un medico, originario di Napoli, che vive a Cassino da 20 anni e ivi ha deciso di crescere i propri figli:

“Sbagliatissima perché per essere cittadino prima bisogna conoscere le tradizioni, lo stile di vita e il patrimonio culturale del Paese, aspetti per i quali necessita molto tempo prima di giungere al loro assorbimento. Dal punto di vista politico i nuovi cittadini sarebbero influenzati dal partito che rende loro tali, quindi sostituirebbero in maniera pericolosa quei voti che gli italiani, ormai sfiduciosi verso la politica attuale, non esprimono più”.

Di seguito, quella di un manager sempre in viaggio, il cui lavoro tocca Cassino come altre città italiane: “Mah…Se i genitori sono residenti da tanti anni in Italia e vi lavorano, hanno qui la propria vita e desiderano restarvi, è una legge appropriata. In caso contrario non avrebbe senso poiché non essendo i genitori legati al territorio i figli potrebbero lasciare il Paese, di conseguenza avere cittadini che non si curano dello Stato che li riconosce è controproducente. Stesso discorso per quanto riguarda i minorenni che studiano in Italia, infatti colui che diventa cittadino deve avere interessi a restare sul territorio e contribuire al suo sviluppo, attraverso il lavoro”.

È evidente come il problema principale ruoti attorno alla sfera culturale, elemento sottolineato dalle parole di una docente di filosofia, ormai in pensione, che ha insegnato nei licei cassinati per oltre 20 anni. Riportiamo di seguito la dettagliata spiegazione:

«Ritengo sufficiente la legge attualmente in vigore, ovvero la “ius sanguinis”, (dal latino, “diritto di sangue”) in vigore dal 1992, che concede la cittadinanza italiana a nuovi nati se almeno uno dei genitori è italiano e anche a figli di genitori stranieri, su domanda degli interessati, partoriti sul territorio italiano, ma solo al compimento dei 18 anni e se fino a quel momento abbiano risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente.

La mia posizione è giustificata da una riflessione di ordine etico: ritengo che possa essere considerato cittadino di una nazione chi di quella nazione in cui vive stabilmente da un lungo numero di anni condivida usi, costumi, tradizioni e mentalità ovvero sia pienamente integrato nel tessuto politico e sociale e soprattutto ne condivida regole e leggi. In difetto di ciò, qualunque persona non può essere considerata “cittadino” di una determinata nazione, ma semplice ospite, gradito, riconosciuto dal sistema, ma pur sempre e soltanto un ospite

Penso che una persona che, a prescindere dalla residenza, dall’istruzione e dall’utilizzo di mezzi, strumenti e condizioni socio-assitenziali e politiche di una nazione, non ne condivida le sue leggi o i suoi usi e costumi e non si senta in tal senso un “italiano” non abbia neppure interesse a chiederne la cittadinanza e non abbia neppure interesse a “votare” in quella nazione se non con l’intenzione di cambiare ciò che non condivide, ciò per cui non si sente simile ai cittadini di quella nazione.

Non comprendo l’interesse del legislatore in merito, che potrebbe trovare altre formule per garantire il riconoscimento e mantenimento dei diritti socio-assistenziali e giuridici, a residenti stabili e permanenti nel nostro territorio, senza per questo concedere “a pioggia” e “acriticamente” anche i diritti politici di cittadinanza a chi non si senta cittadino di un territorio ad esso utile solo a fini economici».

Anna Maria, madre di due figli, si limita ad osservare: “Più che ai figli dei migranti dovrebbero pensare ai nostri, stanno conoscendo tempi peggiori rispetto al passato e non è certo per rendergli questo che mio marito si spacca la schiena ogni giorno a lavoro, come tanti altri padri di famiglia”.

Sua figlia, 22enne, laureanda in Giurisprudenza, afferma “È un discorso difficile da affrontare nel clima socio-politico attuale: se si risolvessero prima i problemi degli italiani, questi accoglierebbero volentieri i figli dei migranti. Ma in una situazione quotidiana in cui è lo straniero ad essere favorito, ovviamente gli italiani non accetterebbero mai tale proposta”.

Giulia Guerra