VIDEO – Forti del cognome “Di Silvio” estorcevano champagne. Altri commercianti potrebbero esserne vittime

VIDEO – Forti del cognome “Di Silvio” estorcevano champagne. Altri commercianti potrebbero esserne vittime

22 Marzo 2018 0 Di redazione

FROSINONE – Dietro le bottiglie di champagne pretese dai due Di Silvio arrestati questa mattina dai carabinieri della compagnia di Frosinone c’è molto di più. Gli investigatori, infatti, sono portati a credere che l’azione criminale ai danni del bar tabaccheria sia solo la punta di un iceberg il resto del quale è occultato da un ingiustificato timore verso personaggi che sostengono di essere pericolosi ma che, in realtà, di spessore criminale hanno, per fortuna, solamente l’arroganza.

Bruno e Antonio, padre e figlio di 43 e 26 anni, nullafacenti o comunque con redditi dichiarati prossimi allo zero, ma con case arredate come regge, secondo gli inquirenti, forti della presunta pericolosità dei loro nomi, o meglio dei loro cognomi, vantando amicizie e parentele criminali in territorio romano, farebbero di Frosinone, o meglio di chi a Frosinone crede nella loro pericolosità, l’arma con cui estorcere favori e servizi senza pagare il dovuto. Le manette, questa mattina, sono scattate ai loro polsi su disposizione del gip del tribunale di Frosinone. Un provvedimento lampo per i tempi della giustizia italiana dato che è arrivato ad appena un mese dalla denuncia presentata dalla vittima.

Bottiglie di Champagne, consumazioni, spumanti e liquori costosi, cibi e bevande per banchetti di compleanno, tutto senza pagare un soldo; lo sostengono gli inquirenti. Dal 2013, padre e figlio, Bruno e Antonio Di Silvio, costringevano il titolare di un bar ricevitoria di Frosinone ad una forma di sottomissione che nel corso degli anni gli è costata migliaia di euro. Gravi pregiudizi penali per il padre, un solo precedente risalente ad età minorile per il figlio, per i due, questa mattina è scattato l’arresto per i reati di estorsione e rapina in concorso. Ma dietro questa vicenda, c’è il timore degli investigatori che il fenomeno sia più ampio e non solo legato al bar, ma ad uno stile di vita delinquenziale che manterrebbe sotto scacco più di un commerciante di Frosinone.

Secondo quanto riferito nel corso di una conferenza stampa, questa mattina a cui ha partecipato il colonnello Fabio Cagnazzo, comandante provinciale, il colonnello Andrea Gavazzi, comandante del reparto investigativo, il maggiore Matteo Branchinelli comandante della compagnia di Frosinone e dal luogotenente Angelo Pizzotti comandante del Norm di Frosinone, i due facendo leva sul timore che incuterebbe in alcuni il nome della famiglia Di Silvio, unitamente ad un atteggiamento spavaldo e minaccioso, da anni costringevano l’uomo e il personale del bar a fornire alimenti e bevande, anche per centinaia di euro per volta, senza pagare nulla. Quando i dipendenti pretendevano il pagamento di quanto consumato all’interno del bar, con consumazioni offerte anche ad amici o parenti per ostentare il loro potere, i due diventavano minacciosi e per evitare problemi o causarne agli altri clienti, la spuntavano.

Tutto fino a metà febbraio quando l’uomo punta i piedi per ottenere il dovuto pagamento di consumazioni e, padre e figlio, lo trascinano nel retrobottega minacciandolo e strattonandolo. Per loro sfortuna la cosa avviene sotto una telecamera interna al locale, ma soprattutto il titolare dell’attività trova il coraggio di denunciare la situazione ai carabinieri. In un mese, i militari hanno effettuato indagini trovando riscontri in quanto denunciato dalla vittima e, su ordine del gip di Frosinone i due vengono arrestati.

All’interno delle loro case, una delle quali oggetto di confisca da anni,  arredate in maniera lussuosissima, in bella mostra vi erano bottiglie di champagne probabilmente provenienti dal bar.

Sospettando che il commerciante non sia l’unico a subire la pressione dei due o di altri che operano con le stesse modalità, i carabinieri invitano a seguire l’esempio del titolare del bar. La forza di un cognome associato spesso ad attività malavitose, anche a discapito di chi invece lo porta ma vive nella legalità, non può essere motivo di timore per sottostare a prepotenze ed estorsioni che se denunciate se ne impedisce il pericoloso proliferare.

Ermanno Amedei