Serena Mollicone, mai così vicini alla verità. Papà Guglielmo ai due carabinieri indagati: “Raccontino ciò che sanno”

Serena Mollicone, mai così vicini alla verità. Papà Guglielmo ai due carabinieri indagati: “Raccontino ciò che sanno”

4 Ottobre 2018 0 Di redazione

ARCE – Appena qualche anno fa sembrava un caso ormai da archiviare. Una verità inghiottiva dal buco nero dei depistaggi, delle bugie e dall’omertà. Quando anche la procura di Cassino sembrava essersi arresa chiedendo al gip l’archiviazione del caso, l’assassino di Serena Mollicone era vicino all’averla fatta franca.

La testardaggine di un padre, del suo avvocato e di pochissimi altri, convinsero il Gip nel gennaio 2016 a rigettare la richiesta di archiviazione disponendo nuove indagini di polizia scientifica.

Quello è stato il momento focale di una dolorosa vicenda. Una decisione diversa avrebbe gettato la pietra tombale sulla morte della studentessa di Arce.

Mai, come oggi, la verità sembra essere vicina, quasi palpabile. Tre colonne reggono un castello accusatorio che vede indagate cinque persone: tre per omicidio volontario e occultamento di cadavere, il maresciallo Franco Mottola, ex comandante della stazione carabinieri di Arce, il figlio Marco e la moglie Anna; il luogotenente Vincenzo Quatrale per concorso morale nell’omicidio e l’appuntato Francesco Suprano per favoreggiamento.

Delle tre colonne due sono costituite da indagini di polizia scientifica. Una è stata raccolta riesumando dopo 16 anni il corpo di Serena sottoponendolo nuovamente ad una autopsia grazie alla quale è emersa la compatibilità della ferita all’arcata sopraciliare con la scalfitura ritrovata sulla porta dell’alloggio dei Mottola. Porta contro cui, secondo gli investigatori, Serena sarebbe stata scaraventata durante un furibondo pestaggio.

La seconda è emersa in questi giorni e riguarderebbe il nastro adesivo utilizzato per immobilizzare il corpo di serena assicurandole sulla testa una busta di plastica. Sulla colla di quel nastro gli esperti del Ris avrebbero trovato microtracce della vernice, o della vernice del tutto simile a quella che ricopre il locale caldaia di casa Mottola. Non solo, ma anche microscopiche schegge di legno compatibili con il legno di cui è composta la porta incriminata. Due importanti tasselli dell’indagine che danno ancora più spessore alla terza colonna dell’accusa, costituita dalla testimonianza rilasciata dal brigadiere Santino Tuzi alcuni giorni prima che morisse suicida. Una morte su cui ancora si indaga e su cui aleggia il sospetto quantomeno di una istigazione al suicidio. Santino Tuzi, dopo 8 anni di silenzio, raccontò che la mattina del primo giugno, quando Serena scomparve, lui era di piantone in caserma ad Arce e la autorizzò ad entrare per raggiungere l’alloggio dei Mottola. Quando finì il turno, la ragazza ancora non era scesa e quindi non la vide più. Le telecamere non funzionavano o mancavano le registrazioni, quindi manca una prova oggettiva del racconto del brigadiere. Racconto che gli indagati smentiscono sostenendo che Serena non era mai andata a casa loro. Le risultanze delle indagini di polizia scientifica, quindi, sostengono il raccontato da Tuzi.

Quelle riportate, però, sono solo indiscrezioni. L’impressione è che la Procura di Cassino abbia nei suoi fascicoli molti altri elementi per i quali, la rosa degli indagati potrebbe allargarsi anche a chi ha occultato il corpo della ragazza.

Ma Guglielmo Mollicone, il papà di Serena, spera ancora nella peso insostenibile della coscienza di chi sa e non parla.

“Serena, quella mattina, è stata selvaggiamente picchiata. Si è difesa, avrà urlato e non è possibile che Quatrale e Suprano, gli altri due carabinieri presenti nella caserma non l’abbiano sentita. Come fanno ancora a tacere? Recuperino parte di quella dignità persa e aiutino a fare chiarezza sulla morte di una ragazza di 18 anni”.

Ermanno Amedei