Quando Cassino, tra sparatore e accoltellamenti, rischiava di diventare la “piccola Secondigliano”per diventare

Quando Cassino, tra sparatore e accoltellamenti, rischiava di diventare la “piccola Secondigliano”per diventare

30 Maggio 2022 Off Di redazione

Cassino – A Cassino, il contrasto al crimine organizzato che spinge dalla vicina Campania, ma anche quello che si organizza nel tessuto sociale cassinate rinforzandosi economicamente dalle attività illecite delle estorsioni e della vendita di droga, ha subito negli anni, duri colpi dalle forze dell’ordine.

La guardia, però, non può e non deve essere abbassata. Sono ancora vivi i ricordi del 2015, in cui la guerra tra le bande che si spartivano le piazze di spaccio, avevano cominciato ad affrontarsi a colpi di pistola nelle strade del centro cittadino. Sono stati momenti bui per la città che appariva alla mercé di quegli spacciatori che, in via Garigliano, proprio vicino alla stazione ferroviaria, oppure nella centralissima piazza Labriola, avrebbero potuto mietere vittime innocenti.

Ma i “numeri” all’epoca erano congrui e le forze dell’ordine hanno potuto dare risposte adeguate ricostruendo con indagini meticolose, quanto accadeva nel sottobosco. Mentre la gente ignara di qualsiasi dinamica assisteva alle sparatorie, i carabinieri della sezione operativa di Cassino, grazie a memorie storiche del crimine locale, ricostruivano la ragnatela di fili che da un incrocio di Cassino, portava a Secondigliano per poi ritornare in qualche ritrovo di Rom di San Bartolomeo o via Garigliano per distendersi fino a comuni del circondario.

Nomi noti a coloro che indagavano da anni sulle dinamiche criminali della città e, grazie a loro, è stata possibile raccogliere elementi che hanno portato ad operazioni con decine di arresti per volta. Operazioni che, oltre a decapitare i vertici delle bande che avevano assunto uno spessore criminale preoccupante, hanno salvato anche decine di giovani, a volte anche minorenni, che si erano avvicinati troppo al baratro della malavita. Una tirata d’orecchio o una condanna lieve, ha permesso di tornare nel seminario della legalità.
sono stati questi i risultati di operazioni come “La Storia Infinita”, coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Roma (il procuratore aggiunto capitolino Ilaria Calò e il pubblico ministero cassinate Maria Beatrice Siravo). Ma cosa accadde in quel periodo che portò la criminalità a scontrarsi apertamente per le strade della città martire? La ricostruzione dei fatti avvenuti tra il 2014 e il 2015 racconta di soggetti vicini al clan Licciardi di Napoli-Secondigliano, operante nel narcotraffico, che aveva ricreato a Cassino una “piazza di spaccio” proprio nella centralissima piazza Labriola. Una “piazza” identica a quelle operanti nel napoletano e che prevedeva gli stessi metodi sanguinari per controllarla.
Dopo aver arruolato numerosissimi giovani locali nelle file del neonato clan Ferrero/Panaccione, conosciuti come i “gomorrini”, hanno affidato loro precisi compiti all’interno del gruppo criminale, a forma piramidale. Piazza Labriola, proprio davanti al palazzo di giustizia, luogo della movida, era letteralmente nelle mani del clan. La piramide prevedeva nei ranghi più bassi i pusher da strada affiancati dalle vedette che sorvegliavano la piazza in sella a biciclette; questi avevano anche il compito di ostruire l’unico passaggio carrabile alla piazza, con bidoni della spazzatura, per ostacolare l’eventuale arrivo dei carabinieri, nonché oscurare le telecamere comunali per non essere ripresi durante lo spaccio.

Poi vi erano i picchiatori (tra i quali tale “Blanco”), quelli che allontanavano dalla piazza piccoli spacciatori, i cosiddetti “cani sciolti”. A seguire c’erano i corrieri che si occupavano del trasporto delle partite di droga da Napoli a Cassino, nonché quelli che sovraintendevano la piazza. Posto di rilievo ce l’avevano tre “colonnelli” che gestivano tutta la vita della piazza di spaccio e autorizzavano le forniture ai singoli pusher, ovvero solo quelli in regola con i pregressi pagamenti. Al vertice della piramide c’era il capo indiscusso Gennaro Ferreri detto “Capa e Retina” e il suo rampollo Elio Panaccione detto “O Chiattone”. Il clan aveva anche un’altra peculiarità: ammetteva in piazza i “cani sciolti” solo se pagavano un pizzo di 250 euro mensili ovvero acquistavano la droga da loro. I gomorrini, per avere il controllo totale della piazza, fungevano anche da uomini di sicurezza dei locali. Non solo, Panaccione ha aperto anche una attività commerciale, con insegna “Notorius”, per la vendita di calzature ed accessori di lusso. Una attività, la sua, finalizzata a legittimare il suo controllo su quella piazza era nelle mani di quello che era diventato un clan la cui presenza soffocava gli esercenti e commercianti del centro.
Ad un certo punto, però, il clan Ferreri/Panaccione è entrato in collisione, proprio per l’egemonia della “piazza di spaccio”, con una famiglia del Giuglianese, vicina al clan dei Casalesi, anch’essa trasferitasi a Cassino. Una piazza che, però, era ambita anche dalle autoctone famiglie rom di San Bartolomeo di Cassino, che cercavano di ritagliarsi un angolo per vendere la loro droga.
Quindi il clan Ferrero/Panaccione, senz’altro più numeroso e strutturato sotto il profilo criminale, ha iniziato, nei primi giorni del gennaio 2015, una lotta armata su più fronti per rispondere a una grave aggressione da parte dei Giuglianesi. Furono loro, il gruppo campano, che armato di pistola, coltelli e mazze da baseball, proprio in piazza Labriola quando questa era gremita di giovanissimi. Per fortuna i colpi esplosi andarono a vuoto, a terra rimaneva un gomorrino, colpito alla gamba da una coltellata che se l’è cavata con una trentina di giorni di prognosi.

Le forze dell’ordine intervenute subito dopo sul posto, hanno potuto riscontrare la sola presenza di tracce di sangue sul selciato, bossoli e veicoli danneggiati riconducibili agli appartenenti del clan Ferreri/Panaccione.
La risposta dei gomorrini non si fece attendere: dopo nemmeno un paio d’ore, diversi colpi di pistola sono stati esplosi all’indirizzo dell’abitazione di Antonio Di Ponio Antonio, già appartenente al clan Panaccione/Ferreri poi passato nelle file dei Giuglianesi. Al momento dell’attentato in casa vi erano donne e bambini ma per fortuna i proiettili danneggiavano solo i vetri della finestra e della veranda.
La vendetta rabbiosa non esaurì a quell’episodio. Dopo un paio di giorni, era il 5 gennaio, nella centralissima piazza Garibaldi di Cassino a pochi metri della stazione ferroviaria, di Antonio Di Ponio ha subito un altro grave attentato.

 

Mentre era alla guida di una Ford Ka è stato fatto oggetto di numerosi colpi d’arma da fuoco. A salvare la vita del malcapitato fu l’anima d’acciaio dello sterzo della macchina sulla quale viaggiava che arrestò la corsa del proiettile che sicuramente lo avrebbe attinto al petto.
Polizia e carabinieri eseguirono una serie di perquisizioni con l’arresto di alcuni soggetti appartenenti alla famiglia del Giuglianesi, tra i quali il Di Ponio.

I carabinieri della Sezione operativa, conseguiti i primi elementi, hanno rintracciato Elio Panaccione, che nel frattempo si era dato alla macchia, sottoponendolo a Fermo di Indiziato di Delitto, per tentato omicidio ed armi.
Dallo scontro uscirono vincenti i componenti del clan Ferreri/Panaccione pertanto Antonio Di Ponio è stato costretto, per avere salva la vita, ad esiliare nel nord Italia mentre i componenti del suo nuovo clan, dopo un breve periodo si sottomissione emigrarono verso nuovi lidi. Nel frattempo le famiglie rom arretrarono nel quartiere San Bartolomeo, trasformandolo nella piccola “secondigliano”, dove gli acquirenti, provenienti anche dalle vicine province di Caserta e Isernia, si recavo tutti i giorni anche i festivi, fino a tarda notte, sicuri di ricevere lo stupefacente. In tale periodo si registrarono numerosi attentati incendiari e dinamitardi sempre nei confronti di persone dedite allo spaccio di stupefacenti.
A margine di questi gravi fatti, la Sezione operativa con a capo l’allora tenente Massimo Esposito, ha dato inizio a quella articolata e mirata attività investigativa chiamata “La Storia Infinita”, con l’ausilio di attività tecnica, che permise di conseguire precise ed incontrovertibili prove in capo ad ogni singolo affiliato.
L’attività di indagine si è conclusa conclusa, dopo circa un anno, con l’arresto, nella notte del 16 gennaio 2017, di circa 25 persone responsabili a vario titolo di traffico di stupefacenti, tentato omicidio, armi, ricettazione.
L’indagine non ha lasciato margine alle difese dei gomorrini che optarono, quelli colpiti dal art. 74 (traffico di stupefacenti), al Rito abbreviato; nonostante lo sconto di un terzo della pena, sono stati colpiti da pene severe: 16 anni di carcere sono stati inflitti a Ferreri Gennaro, tra i 9 e gli 11 anni ai “colonnelli” e poi a seguire quelli che occupavano i ranghi più bassi; le pene sono state confermate anche in Appello e in Cassazione. Un risultato ottenuto grazie a investigatori Come quello che a Cassino è conosciuto, e temuto dalla criminalità locale, con l’alias di “Peter Tosh”, che nonostante indossi un grado modesto nell’organigramma dell’Arma, si è sempre distinto nelle investigazioni cosiddette “da strada”.

Seppure questi episodi sembrano essere lontani, Cassino resta comunque una piazza ambita dalla criminalità che non ha esaurito la propria “spinta inquinatrice” del tessuto sociale. Ci si chiede se le forze dell’ordine, oggi, sarebbero pronte a reagire con la stessa efficacia nel caso in cui quelle condizioni dovessero ripetersi. La difficoltà in questo tipo di indagini sta nel conoscere la “storia” della criminalità locale, gli equilibri tra i gruppi e i legami con i clan. Ci si chiede, anche, se il bagaglio esperienziale sia stato tramandato da quegli investigatori che operarono nel 2015, alle giovani leve investigative chiamate a rispondere a esigenze e situazioni sempre più complesse che Cassino ben conosce.

Ermanno Amedei