Spaccio e usura, i Rom di Cassino e i legami con le famiglie di Ostia e del napoletano

Spaccio e usura, i Rom di Cassino e i legami con le famiglie di Ostia e del napoletano

19 Luglio 2022 Off Di redazione

Cassino – È fitta la rete che lega le famiglie malavitose di etnia Rom di Cassino a quelle del litorale romano e della vicina Campania. Dalle ordinanze di misure cautelari eseguite negli anni frutto di accurate indagini svolte dalla sezione operativa dei Carabinieri di Cassino, si evince che la rete di malavita rom è fatta di parentele e di interessi illeciti che spaziano in una vasta gamma di settori.

A premessa di questo, però, va ricordato che rom non significa di per se criminale. Molte sono le persone che vivono e lavorano nella piena legalità danneggiati, purtroppo, “dall’etichetta” negativa generata da chi non lo fa.

Le famiglie rom di Cassino, conosciuti anche come “zingari”, sono prevalentemente di origini casertane, e non hanno nulla da invidiare a quelle più conosciute e blasonate, sotto l’aspetto criminale, agli Spada di Ostia e i Casamonica di Roma, alle quali, peraltro, sono legate da interessi e parentele. Nell’ultimo decennio, si è registrata una metamorfosi che le ha trasformate i veri clan, i cui componenti, in passato, erano ritenuti delinquenti di “mezza tacca” dediti principalmente alla piccola ricettazione, usura e spendita di banconote false. Le donne erano le “bestie nere” dei supermercati della zona in quanto perpetravano, giornalmente, piccoli furti di generi alimentari che, a fine mese, pesavano sulle casse dei commercianti. Attualmente le famiglie rom Morelli e Spada, imparentate tra loro, egemoni su altri gruppi criminali del cassinate e altre famiglie rom quali i Di Silvio e De Silva, e sono dedite, principalmente, al traffico di cocaina.

Difatti, l’attività di spaccio di stupefacenti ha raggiunto livelli di parossismo mai registrati prima, favorito anche da un controllo delle forze dell’ordine che si affievolisce a causa delle scarsità delle risorse: sono operanti sul territorio diverse “basi di spaccio”, in particolare nei rioni popolari di San Bartolomeo, Malfa, San Silvestro e Colosseo. Attualmente nella città martire il traffico e lo spaccio di stupefacenti al minuto è (quasi) esclusivamente nelle mani delle famiglie rom, e questo ha permesso loro, in pochissimi anni, di arricchirsi. Tali “basi di spaccio” sono difficilmente sorvegliabili da parte delle forze dell’ordine senza essere notati, poiché si trovano incardinate in rioni popolari, vere e proprie roccaforti delle famiglie, che si avvalgono di “vedette”. In breve, così come emerso da operazioni di polizia, i gruppi criminali hanno adibito appartamenti Ater a veri e propri minimarket per la vendita al minuto di stupefacenti, in particolare cocaina (ma si trova anche eroina, marijuana e hashish), 7 giorni su 7, compreso i festivi. Vi è un mare di tossicodipendenti, provenienti dal cassinate e dalle vicine province di Caserta e Isernia che, tutti i giorni e specialmente nei fine settimana, si riversano nei quartieri popolari, in particolare quello di San Bartolomeo, sicuri di poter trovare lo stupefacente che occorre loro. Il motivo dell’attrazione dell’esercito di consumatori di droga, va ricercato nella ottima qualità della sostanza, nella vendita anche di piccoli quantitativi, quindi alla portata anche di giovanissimi (si parte da 20 euro per un quarto di grammo), e in ultimo l’orario continuato fino a tarda notte.

 

 

Droga sì, ma anche usura

Valutando gli esiti investigativi si è portati a credere che dietro questo collaudato sistema, disegnato sul modello “Scampia”, vi sia una “regia unica”, per la puntuale gestione e conduzione del traffico di stupefacenti nel cassinate. Il traffico di droga è la principale attività dei rom, ma non esclusiva, infatti sono dediti anche all’usura condotta in modo imprenditoriale con interessi pari al 20/30 per cento mensili, trasferimento fraudolente di beni e rachet dell’assegnazione delle case popolari. Molti nuclei familiari vivono in case popolari – occupate abusivamente e poi sanate, in spregio a chi è regolarmente in lista –  che hanno ristrutturato con materiale di pregio e arredate con mobili sfarzosi nonché hanno occupati, con la prepotenza, spazi condominiali a scapito di onesti condomini; conducono auto di lusso e il loro status simbol è possedere cavalli trottatori (puro sangue) e spesso organizzano, nel cassinate e nella zona di Avezzano, corse illegali; alle loro dipendenze hanno anche stallieri che accudiscono e curano i cavalli e li allenano in prospettiva di future corse.

 

Come è organizzata la famiglia rom malavitosa

L’uomo rom dedito al malaffare, detto da chi ne ha osservato i comportamenti nel corso delle indagini, si sveglia tardi la mattina, e già dal primo pomeriggio si attiva per partecipare a tavoli di gioco (poker) che spesso si tengoni in altre province, mentre le donne, di mattina, già sono attive nello spaccio di stupefacenti e riscossione rate presso usurati. Nella loro vita sfarzosa, frequentano ristorante di lusso anche molto noti. Al fine di fronteggiare questo fenomeno, i crabinieri del territorio ed in particolare la sezione operativa della compagnia di Cassino, negli anni 2018/2020, non avendo la forza militare per aggredire – simultaneamente – tutte le “basi di spaccio”, ha messo in campo un’atipica ma efficace attività investigativa denominata “XII Round”, tesa ad individuare e smantellare, a più riprese, le singole “basi di spaccio”, alcune di esse munite anche di sistema di video-sorveglianza per eludere eventuali irruzioni da parte delle Forze dell’Ordine.

 

Così i carabinieri hanno smantellato grosse piazze di spaccio

Considerando che tra i clienti e gli spacciatori non intercorreva alcun preventivo contatto e che gli indagati si esprimevano in lingua rom, è stata condotta una indagine tradizionale con servizi di pedinamento e appostamento, concentrando l’attenzione sui consumatori. Infatti gli acquirenti, all’uscita dalla “base di spaccio”, venivano pedinati da militari per un breve tragitto e, lontani da occhi degli spacciatori, bloccati e perquisiti; trovato lo stupefacente, i consumatori venivano interrogati in qualità di testi e di conseguenza segnalati alla Prefettura quali consumatori di stupefacenti. Allo scopo di tutelare il consumatore di droga che poi diveniva testimone, e di metterlo al riparo dai rischi di possibili rappresaglie da parte degli spacciatori, sono stati raccolti, per ogni singola “base di spaccio”, decine di testimoni. Questa strategia faceva sì che gli indagati, visto il numero elevato di clienti che avevano fatto i loro nomi, accantonavano eventuali progetti di vendetta, e per limitare i danni  ricorrendo all’istituto del “rito abbreviato” che gli comportava uno sconto di pena ma che evitava anche ai tossicidipendenti la testimonianza in Tribunale. Nel giro di due anni sono state individuate e smantellate una dozzina di “basi di spaccio”, la maggior parte operanti nel quartiere San Bartolomeo di Cassino; per ogni “base di spaccio” veniva richiesta ed applicata una misura cautelare. In due anni, sono state concesse ed eseguite, in modo parcellizzato, ben 26 misure cautelari in carcere e degli arresti domiciliari; spesso le donne rom evitavano il carcere poiché madri di bambini al di sotto dei sei anni. Tale attività ha interessato quasi tutti i Pubblici Ministeri della Procura della Repubblica di Cassino, in particolare il PM dr. Roberto Bulgarini Nomi. Uno stimolo alla tipologia di indagine descritta è stata data dal Capitano Ivan Mastromanno, all’epoca comandante della compagnia Carabinieri di Cassino e dal Colonnello Fabio Cagnazzo comandante del Provinciale di Frosinone.

 

Intere famiglie vittime di figli tossicodipendenti  

Denaro e cocaina ha permesso ai componenti delle famiglie rom di entrare in contatto con persone di qualsiasi ceto e di avvelenare il tessuto sociale della città martire. Nel corso delle indagini, i militari si sono spesso trovati ad intervenire in soccorso di famiglie, in particolare di mamme, che vivono il dramma di avere un figlio dedito all’uso di droghe; ai continui litigi in casa, alle preoccupazioni per la loro salute e l’angoscia delle lunghe attese alla finestra aspettando il loro rientro a casa. Situazioni che spesso degenerano quando il tossicodipendente, vistosi negare dai genitori i soldi che gli occorrono per l’acquisto della droga, non esita ad utilizzare violenza, talvolta anche con la minaccia o il tentativo di incendiare l’abitazione, altre volte mettendo in atti azioni autolesionistiche.  Sempre nel corso delle indagini, gli investigatori cassinati hanno accertato che tra i tossicodipendenti della città, così come in altre zone, le persone che fanno uso di cocaina, ovvero costituente l’esercito di consumatori, si annoverano brillanti studenti universitari, professionisti, giovani mamme, operai, e minorenni.

 

La scomparsa di “Paperino” (per non dimenticare)

In tale background si inserisce la scomparsa di una persona che ha lasciato familiari ed amici sgomenti. Infatti, nel marzo del 2018, di notte, dal quartiere San Bartolomeo, scompare in circostanze più che misteriose, il tossicodipendente Luca Di Mario detto “Paperino”. Dopo qualche giorno, nel fiume rapido, venne trovata la sua bicicletta; a distanza di chilometri, dove il fiume Rapido si incrocia con il Gari, è stato trovato, impigliato nella vegetazione, un indumento del povero Di Mario (circostanze a dir poco discutibili). Il suo corpo non verrà più ritrovato nonostante le indagini e le ricerche prontamente attivate, anche con l’ausilio dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco. Di Mario si serviva, per l’acquisto di dosi di stupefacenti, delle “basi di spaccio” di San Bartolomeo. Una delle tesi, di bonam partem, ritiene che Luca Di Mario sia morto per overdose e i presenti, per non incorrere in guai giudiziari, lo hanno seppellito in un luogo di fortuna. Poi gli autori di tale cinica azione, per allontanare da loro i sospetti, simularono grossolanamente le tracce di una disgrazia. Della sua scoparsa si sono occupati anche organi di stampa nazionali, tra i quali la trasmissione “Chi l’ha visto”.

 

I collegamenti delle famiglie Rom del Cassinate

Ma l’ambiente criminale Rom del cassinate non è un mondo a se stante. Le relazioni che lo legano alle famiglie camorristiche campane sono tante ma il “tassello” più importante sembra essere, leggendo i fascicoli d’indagine degli inquirenti, Carmine Morelli detto lo zingaro, personaggio di spicco del clan dei Casalesi. Morelli ha vissuto nel cassinate per diverso tempo, unitamente al fratello maggiore Guglielmo, quest’ultimo, già sorvegliato speciale, deceduto giovanissimo per cause naturali. Carmine Morelli durante la sua permanenza nel cassinate manteneva stretti contatti con famiglie locali Morelli/Spada. I rapporti tra il camorrista con le famiglie rom di Cassino risalgono è di antichissima data. Infatti i carabinieri della Sezione Operativa di Cassino, all’inizio degli anni 1990, catturarono il latitante Angeluccio Morelli, ricercato per rapina, proprio presso l’abitazione di Carmine Morelli a Frignano; nella circostanza Morelli Carmine è stato arrestato per il reato di favoreggiamento aggravato.

 

Quando la Camorra pestò un barista a Cervaro

Carmine Morelli, dapprima personaggio vicino alla cosca con ruoli marginali, poi emissario, killer spietato e reggente del gruppo Schiavone; in pochi anni, grazie anche al vuoto di potere che si era creato all’interno del clan, a seguito di numerosi arresti, aveva assunto il ruolo di boss e di gestore della cassa del gruppo camorristico, (così come si legge sui giornali di cronaca del casertano).

Morelli Carmine è stato uno degli esecutori materiali del triplice omicidio, avvenuto nel 2009, di Giovan Battista Papa, Modestino Minutolo e Francesco Bonanno. Un’epurazione all’interno dello stesso clan dei Casalesi, per uno sgarro. Nell’occorso Morelli aveva ferito a morte con colpi di pistola Bonanno, poi lo aveva colpito al volto con una spranga di ferro per renderne difficile il riconoscimeno. Dopo l’efferrato omicidio, all’inizio del 2010, Morelli si è reso protagonista protagonista di una spedizione punitiva nel cassinate e alla testa di un gruppo criminale composto da Vincenzo Fioretti e Mario Coscione entrambi di Aversa, Michele Greco di Santa Maria C.V., Alfonso Greco di Telese Terme, si era recato a Cervaro, presso un bar della periferia e dopo aver minacciato il proprietario, lo aveva colpito ripetutamente alla testa con il calcio della pistola procurandigli gravi lesioni. L’indagine, denominata “Eden”, condotta dalla Sezione Operativa dei carabinieri di Cassino, ha permesso, in breve, di identificare gli autori e di addebitare i delitti di minaccia aggravata, lesioni personali, ricettazione e porto abusivo di arma, al gruppo e al recupero dell’arma, una pistola Beretta, risultata rubata nel 2010, a Teverola, ad un agente della polizia penitenziaria. Nelle indagini svolte, l’episodio in questione veniva annoverato tra i reati-spia che altro non sono che sintomi di una grave malattia in cui versa il cassinate. Sicuramente Morelli era intervenuto personalmente, come atto dimostrativo, per punire il commerciante “che non aveva ben capito con chi stava avendo a che fare”, e che probabilmente aveva rifiutato l’invito all’istallazione di slot machine di una ditta vicino ai casalesi. Il PM della Procura di Cassino, dr.ssa Maria Beatrice Siravo, chiese e ottenne una misura cautelare in carcere nei confronti di tutti i componenti della spedizione; tutti vennero catturati ad eccezione di Carmine Morelli poiché si era già reso latitante per il triplice omicidio. La latitanza finì, però, nel 2011 quando Morelli venne catturato dalla Squadra Mobile di Caserta in un covo di Santa Maria C.V., unitamente a quattro soggetti che coprivano la sua latitanza; nel covo i poliziotti trovarono anche una pistola di fabricazione ungherese, risultata rubata nel salernitano. A margine della cattura, i poliziotti notificavano al Morelli, oltre l’ordinanza per il triplice omicidio, anche l’ordinanza della Procura di Cassino per l’aggressione di Cervaro. A seguito dei processi, l’11 marzo 2016, data sotto la quale la sentenza è passata in giudicato, Morelli Carmine, a solo 38 anni, è stato condannato all’ergastolo.

 

I collegamenti con le famiglie romane

Tornando alle famiglie malavitose di Cassino come alcuni dei Morelli e alcuni esponenti degli Spada, sono forti i contatti con i Casamonica di Roma, difatti, nell’aprile del 2019, presso l’abitazione della famiglia Morelli nel quartiere San Bartolomeo, venne individuato e catturato Cosimo Casamonica 58 anni, poiché attinto dalla misura cautelare emessa, nell’ambito dell’indagine “Gramigna bis”,  della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, per i delitti di: associazione mafiosa 416 bis, trasferimento fraudolente di volori 512 bis cp, usura 644 e traffico di sostanze stupefacenti.

 

L’ascesa delle famiglie rom Spada/Morelli raccontata attraverso le indagini dei Carabinieri

Indagine denominata “TreTorri”.

Nell’anno 2010, personale della Sezione Operativa di Cassino eseguiva l’indagine convenzionalmente denominata “Tre Torri”, che aveva come oggetto il “traffico di sostanze stupefacenti” “furti” e “ricettazione”. Il “trait d’union” tra la famiglia Morelli/Spada e la famiglia Ferreri/Mosca narcotrafficannti, furono proprio i capostipidi dei due nuclei familiari, Ferreri Gennaro e Morelli Giuseoppe che avevano sofferto insieme un periodo di detenzione presso il carcere di Cassino. I due, poco dopo la loro conoscenza, e con il determinante apporto delle rispettive consorti, che all’epoca dei fatti erano entrambe libere, mettevano in piedi un fiorente traffico di sostanze stupefacenti. Le indagini permettevano di assodare che i componenti della famiglia Ferreri/Mosca fornivano grosse partite di droga ai componenti della famiglia Spada/Morelli, i quali, a loro volta, “piazzavano” lo stupefacente sul mercato del cassinate. A conclusione delle investigazioni il Gip presso il Tribunale di Cassino e quello di Napoli (competente per territorio), condividendo le richieste del Pm Alfredo Mattei, emettevano le misure cautelari custodiali a carico di sei soggetti. Non è inutile sottolineare la figura di  Ferreri  Gennaro  affiliato al clan Licciardi di Napoli, già  persona  di  fiducia di Grimaldi  Carmine,  alias  “bombolone”,  esponente  di  spicco  della  camorra  napoletana, caduto a seguito di agguato in Napoli, in data 17.07.2007.

 

Indagine denominata “Bar dello Sport

Nell’anno 2011, questo reperto svolgeva altra attività investigativa denominata “bar dello sport”, avente come oggetto sempre il “traffico di sostanze stupefacenti” (proc. pen. 1399/2011 mod. 21); in buona sostanza l’indagine in parola era il proseguimento dell’indagine “Tre Torri”, in quanto la famiglia Ferrari/Mosca continuava a fornire alla famiglia rom Spada/Morelli di Cassino, grosse partite di droga. Il “volume di affari” si allargava rapidamente poiché, nel frattempo,  i leader delle due famiglie: Gennaro Ferrari e Giuseppe Morelli, avevano ottenuto la libertà personale; nel corso dell’indagine – anche grazie alle informazioni acquisite nell’ambito della precedente attività investigativa – vennero effettuati diversi e sostanziosi recuperi di sostanze stupefacenti; in particolare: -in data 20 giugno 2011, in Cassino, venne tratto in arresto Morelli Giuseppe perché trasportava e deteneva oltre g 104,920 di cocaina, droga che gli era stata appena fornita da Ferreri Gennaro e Mosca Patrizia (con la complicità dei minori Ferreri Giovanni e Morelli Giovanna); -in data 25 luglio 2011, in Cassino, venne tratto in arresto Mistretta Gianluca (“fratello adottivo” di MOSCA Patrizia) per detenzione e trasporto di 4 chili circa di hashish. L’incarico al corriere Mistretta Gianluca, di trasportare la partita di droga da Napoli a Piedimonte San Germano, gli era stato dato da Ferreri Gennaro e dal figlio di questi Ferreri Giovanni; la grossa partita di hashish era stata fornita dal grossista Sicurezza Emilio. All’esito, il G.I.P. presso il Tribunale di Cassino, condividendo le richieste del P.M., emetteva in data 05.10.2012, ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 11 soggetti.

 

Indagine denominata “SAN BARTOLOMEO

Nell’anno 2015/2016, la Sezione Operativa, coordinata e diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura di Roma, eseguiva un’articolata indagine nei confronti delle famiglie rom Morelli/Spada di Cassino; le investigazioni presero le mosse dal grave attentato dinamitardo in danno del circolo privato condotto dalla famiglia Morelli e ubicato nel quartiere popolare San Bartolomeo di Cassino, roccaforte dei clan Morelli/Spada. L’indagine si concludeva con l’emissione della misura cautelare nei confronti di 15 soggetti, tutti facenti parte delle famiglie Morelli/Spada ovvero a loro contigui, per traffico di sostanze stupefacenti ed altro. Il GIP disponeva, nell’ambito dello stesso procedimento anche il sequestro di numerosi beni immobili per un valore di circa un milione di euro. Per onore della verità, la misura custodiale venne poi annullata dal Tribunale del Riesame di Roma, per un errore formale e non sostanziale del GIP (a causa del taglio/incolla) mentre la misura relativa al sequestro dei beni è tuttora vigente.

In relazione all’attentato dinamitardo, in seguito il pentito del clan Ferreri/Panaccione fece luce sul grave fatto, dichiarando che tale attentato era la risposta al clan Morelli, e segnatamente a Morelli Guglielmo, per non essersi attenuto alla spartizione delle “piazze di spaccio” di Cassino, invadendo la centrale piazza Labriola controllata dal clan Ferreri/Panaccione.

 

Indagine denominata “I DUE LEONI

Nell’anno 2016, la Sezione Operativa e personale della Guardia di Finanza del locale Gruppo, coordinata dalla Procura della Repubblica di Cassino, eseguivano la presente indagine; l’attività investigativa permetteva di accertare che la famiglia Morelli/Spada conduceva due distinte “piazze di spaccio”, una in via Selvotta e l’altra nel quartiere San Bartolomeo di Cassino; l’indagine si concludeva con l’emissione di 7 o.c.c. e il sequestro di numerosi beni mobili e immobili. Anche in questa attività vennero acquisite prove ad abundatiam al fine di salvaguardare i consumatori da future e sicure rappresaglie da parte degli spacciatori.

Sono stati (quasi) tutti condannati con rito abbreviato e patteggiamento.

 

Aggressione alle attività commerciali

Nel 2017 diversi componenti delle famiglie rom Morelli/Spada si rendevano protagonisti di un grave episodio ai danni di un noto ristoratore del cassinate; sembrava una banale lite ma i carabinieri della Sezione Operativa di Cassino, riuscirono a dimostrare che la grave aggressione non era fine a se stessa ma con fini estorsivi, controllo del territorio e di assoggettamento dei commercianti del cassinate; infatti durante un banchetto diversi rom aggredirono violentemente e in modo preordinato l’imprenditore, non pagando il conto e bevande extra che avevano consumato. L’aggressione si consumò al termine della serata da parte di numerosi rom che nell’occorso, armati di bottiglie ed altri arnesi, per raggiungere il proprietario che si era barricato nella parte posteriore del locale, unitamente a qualche dipendente che cercava di sottrarlo alla furia omicidiaria, sradicarono una porta compreso gli infissi dal muro.

Nel frattempo, la vittima per evitare il peggio aveva staccato la corrente al locale ma proprio in quel momento venne raggiunto e scaraventato a terra dal gruppo; nel mentre carponi tentava di rialzarsi, con inaudita ferocia, venne colpito da uno dei Morelli, che dopo aver preso la rincorsa, con un calcio al volto, gli frantumava le ossa nasali; tale aggressione, a paragone della testata al volto al giornalista della Rai da parte di Roberto Spada da Ostia, fu una carezza.

All’arrivo delle volanti sul posto, i rom già si erano dileguati e gli operanti potevano costatare le tracce dell’aggressione e il grave ferimento del proprietario e le lesioni patite anche da un giovane cameriere, Nel corso della notte gli aggressori postarono sui social post di scherno e minacce velate a conferma delle loro “gesta eroiche”, per creare paura nella popolazione ed affermare la loro forza intimidatrice.

L’imprenditore che nelle immediatezze dei fatti era deciso a sporgere denuncia nei confronti dei responsabili, nei giorni successivi – sicuramente avvicinato – aveva perso la determinazione e la memoria, e nonostante gli inviti a presentarsi in caserma per la formalizzazione dell’atto, non si ottemperava. I carabinieri, grazie all’acquisizione dei filmati delle telecamere e alle testimonianze dei presenti, riuscirono a ricostruire, nei minimi particolari, il grave evento delittuoso.

Il P.M. dr.ssa Maria Beatrice Siravo, condividendo le risultanze, richiese ed otteneva dal GIP una misura cautelare per lesioni aggravate, estorsione, armi, che venne notificata, nel febbraio del 2018, ai tre principali responsabili della famiglia Morelli.

Una circostanza che rientra nei cosiddetti reati-spia. Infatti nel 2014, lo stesso ristorante, dopo l’acquisto, mentre si stavano eseguendo lavori di ristrutturazione, ha subito un grave incendio doloso; infatti, nottetempo, il locale è stato disseminato di pneumatici e poi incendiati; tale tecnica, utilizzata dalla criminalità organizzata, causa maggior danno alle infrastrutture e costringe i proprietari a rifare addirittura le mura e intonaci impregnati dall’acre puzza di bruciato che non va via.

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I delitti nel quartiere San Bartolomeo per la conquista della Piazza del spaccio

All’inizio del 2019, sono state eseguiti più attentati incendiari nei confronti di Antonio Di Stasio, ‘colpevole’ di non aver pagato, nei tempi fissati, una partita di droga;  gli incendi erano stati appiccati quanto all’interno dell’appartamento vi erano gli anziani genitori di Di Stasio. L’immediata indagine ha permesso di identificare e arrestare gli autori componenti della famiglia Di Silvio, per spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione e incendio. Nella circostanza il Pm Roberto Bulgarini Nomi, al fine di evitare che i gravi delitti venissero portati a conseguenza ulteriore, ha emesso un decreto di fermo di indiziato di delitto nei confronti dei responsabili Matteo e Fioravante Di Silvio, per i delitti di spaccio di stupefacenti, estorsione e incendio.

 

Sempre nel 2019, sempre nel quartiere San Bartolomeo, è stato più volte aggredito lo spacciatore Francesco Di Mario (uno dei cosiddetti “cani sciolti”) da parte delle famiglie rom De Silva/Di Silvio, culminata con il tentato omicidio dello stesso Di Mario (figlio di paperino) e della giovane fidanzata, fatto oggetto di alcuni colpi d’arma da fuoco; per tali gravi fatti, il PM Alfredo Mattei ottenne dal Gip una misura cautelare nei confronti degli indagati, tutti appartenenti alle famiglie Di Silvio/De Silva;  il processo è tutt’ora in itinere.

 

 

Infine nell’anno 2020, personale della Sezione Operativa dei Carabinieri di Cassino unitamente a quello della Dia di Roma, hanno eseguito un indagine patrimoniale nei confronti di diversi componenti del clan Spada/Morelli di Cassino, coordinati dalla Procura della Repubblica di Cassino e Roma (Pm Maisto e Procuratore aggiunto Dda Lucia Lotti); a termine delle investigazioni, è stato richiesto al Tribunale di Roma, Sezione speciale delle Misure di Prevenzione, l’applicazione della Sorveglianza Speciale e della misura di prevenzione patrimoniale della confisca dei beni previo sequestro. Il Tribunale di Roma concedeva tale misura e il 23 dicembre 2020, i Carabinieri di Cassino e quelli della Dia di Roma hanno proceduto al sequestro di diversi immobili e beni nei confronti dei rom, per un valore commerciale di oltre 1,5 milioni di euro. Al termine del relativo iter giudiziario i bene sono stati definitivamente confiscati.

 

A questo punto ci si pone una domanda: le “basi di spaccio” che i Carabinieri, con molto sacrificio sono riusciti a smantellare, oggi sono attive? Parrebbe di sì. Questo non solo per via del continuo riciclo della malavita che il fiorente mercato della droga permette, ma anche per un continuo depauperamento delle risorse umane destinate a contrastare tale crimine. Servirebbe un cambiamento di tentenza, con un incremento degli operatori delle Forze dell’Ordine sul territorio cassinate, in particolare i reparti investigativi, e l’attivazione di una sorveglianza costante, con efficienti impianti di telecamere, dei quartieri popolari. Inoltre, così come avvenuto a Roma su sollecitazione del prefetto capitolino Matteo Piantedosi, servirebbe una vera aggressione agli alloggi popolari occupati abusivamente, in particolare quelli divenuti minimarket dello spaccio. Un fenomeno, quello delle “case rubate/occupate” divenuto anche mercato in quando gli alloggi vengono rivenduti ad altri occupanti abusivi che, a dispetto di chi è in lista d’attesa, ottengono anche fornuiture di utenze. Insomma, servono uomini e mezzi per le forze dell’ordine e una politica di recupero degli alloggi abusivi. Tutto questo, prima che la ferita vada in cancrena

Noodles

 

 

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