
La magia del lavoro, i basti fatti a mano. A papà Domenico Di Giacomo, l’ultimo dei bastai
5 Febbraio 2025Cultura – All’epoca in cui si discute sul rischio che un frutto dell’ingegno umano come l’Intelligenza artificiale possa annientare lo stesso genere umano che l’ha generato, c’è chi ricorda un’epoca in cui le cose costruite dall’uomo servivano, inequivocabilmente per il suo benessere.
Giulio Gino Di Giacomo, residente a Ostia, ma originario di un paesino dell’Abruzzo, Sante Marie in provincia de L’Aquila, ricorda l’antico mestiere del bastaio, svolto dal padre, forse l’ultimo dei bastai. Il basto è un attrezzo che indossa il mulo, assicurato sul dorso come le selle dei cavalli, con cui era possibile caricare merce o materiale sull’animale da fatica. Ma al di là della retorica materiale, nel testo si “respira” la passione e l’amore di un figlio, anche se anziano, per il genitore e per ciò che ha rappresentato.
Er. Amedei
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A mio padre Domenico Di Giacomo, bastaio in Sante Marie da tre generazioni: i suoi “basti” arrivavano fino in Svizzera, in Francia, in Austria, in Friuli, in Piemonte, in Veneto, in Toscana, in Calabria, ecc.. ( non perchè mio padre aveva una visione di commercio oltre regione e internazionale, ma perchè in questi posti erano andati a vivere i mulattieri di Cappadocia e paesi abruzzesi limitrofi).
Basti fatti su misura, secondo la grandezza del mulo o dell’asino, creati con amore e passione. Gli stessi che sono ancora usati oggi dai pochi mulattieri rimasti. Basti creati senza risparmiare nulla, perchè potessero durare nel tempo e potessero tutelare al massimo la salute dell’animale tant’è che mi è difficile trovarne oggi qualcuno per ricordo personale… un particolare ricordo di mio padre (in giro c’è dell’altro!) … proprio perchè sono ancora usati da qualche mulattiere.
La sella è per i cavalli, il basto è per il mulo e l’asino; la sella può essere anche fatta in serie, il basto no, va fatto su misura poichè l’animale deve “sentirsi fasciato” affinchè il peso portato per ore non dia fastidio e non rechi danno.
I basti di una volta erano fatti con materiale d’eccellenza: gli arcioni (due per ogni basto) di legno ricurvo in maniera naturale, li sceglieva lui personalmente, scartando quelli poco affidabili; particolari e personalissime scelte erano fatte sulla tela, sulla paglia, sulle tavole (due per ogni basto), rigorosamente tutte di un pezzo, che piegava lui personalmente con il fuoco e bagnandole con l’acqua e per lo spago. Ulteriori e rigorose selezioni erano riservate per il pelo animale che faceva arrivare, in grosse balle, da Genova e che riusciva, con grande sudore, a rendere soffice e vellutato, liberandolo da impurità e residui con una speciale e originale macchina con rulli a mano (peccato questa sia andata persa!!!).
Stesso discorso di accurata selezione per i capperoni, grossi tubi antincendio in disuso di prima qualità che tagliava e riscaldava al sole o al tubo della stufa perchè risultassero più morbidi; li prendeva a “Claudio di Celano”. Portava la stessa attenzione nella scelta di un particolare pellame nero e, addirittura, per i più umili chiodi … sì, anche questi avevano per lui una grande importanza. Le misure venivano prese dal mulo e dall’asino stesso, presso la sua bottega o inviate per posta dai mulattieri più lontani.
Ciò che usciva fuori dall’artigianale e magico assemblaggio manuale, dopo aver usato faticosamente l’ascia, dopo aver faticosamente fatto i buchi sul duro legno a mano ( il trapano elettrico è stato inventato dopo e, quindi, adoperato solo negli ultimi anni) e usato grossi aghi … ciò che usciva fuori, quindi, era il suo “mmasto”, che veniva alla fine quasi accarezzato dalle sue grosse mani, callose e indurite. Il suo “mmasto” era un mix di profumi, magici odori di sudore, di legno, di spago, di paglia, di tela, di capperoni, di pelo animale e di pelle … sembrava che anche gli stessi chiodi profumassero.
Per i mulattieri, Domenico Jo Mastaro era affidabile, perchè i suoi basti non si rompevano mai, sembravano fatti con l’acciaio. Ha fatto scuola, ha insegnato a molti. Per sei mesi a Sante Marie e per sei mesi a Cappadocia, si, per sei mesi si trasferiva a Cappadocia, paese di mulattieri. A distanza di anni, emblema del mondo che cambia, d’estate la piazza di Cappadocia diventava gialla, si riempieva di taxi gialli perchè molti mulattieri avevano venduto i loro muli e acquistato licenze di taxi a Roma.
A ricordo dei tempi andati nella piazza di Cappadocia c’è oggi una statua in bronzo del mulo con “jo mmasto” e legna e a Sante Marie c’è una statua in bronzo del basto (mmasto). Ringrazio mio padre, cui dedico queste due righe, per gli insegnamenti che mi ha dato anche con i suoi sguardi e con i suoi silenzi. Mi ha lasciato magici ricordi di profumi che non sento più.
Da Giulio Gino Di Giacomo riceviamo e pubblichiamo




