Vita da falconiere, cresce rapaci come fossero dei figli

20 Giugno 2014 0 Di redazione

Cresce falchi, aquile e gufi come fossero suoi figli. Li aspetta fin dalla schiusa delle uova per farli crescere, fino ad assisterli nelle prime prove di volo e di caccia. Gugliemo Ventimiglia di Monteforte, 48 anni, originario di Catania ma residente a Radicondoli in provincia di Siena ha fatto della falconeria il suo mestiere. E’ presidente dell’associazione IMeRa ( I Meravigliosi Rapaci) che conta 15 soci ed proprietaria di 45 esemplari di uccelli rapaci tra falchi, aquile, gufi, avvoltoi tutti protagonisti di esibizioni al Parco Oltremare di Riccione, ma anche ospiti di manifestazioni in varie piazze d’Italia.

“E’ una passione per questi anigufomali – racconta Guglielmo Ventimiglia – che ti riempie di soddisfazioni. La falconeria è considerata una caccia a tutti gli effetti che, per essere praticata, necessita di permessi. Un fucile, però, una volta usato durante la battuta di caccia, lo pulisci e lo metti a posto. Un rapace no”. L’accostamento con un’arma è semplicemente esplicativo perché la falconeria praticata da Ventimiglia e dalla sua associazione è di tipo dimostrativo. Dimostrazioni che diventano le vere attrattive di eventi, fiere e manifestazioni di ogni genere. “A seconda dei luoghi dove andiamo, decidiamo quale rapace far volare. Dipende dagli spazi e dalle affluenze di pubblico ma ogni animale nella sua esibizione è spettacolare”.

pescatrice pescatrice1L’Aquila Pescatrice si chiama Marea e ha 18 anni, la più anziana. “Ovviamente per lei serve uno specchio d’acqua. Per sua natura pesca pesci che nuotano a non più di 50 centimetri di profondità ma per le esibizioni, ovviamente non servono pesci dato che le sue picchiate in acqua sono solo dimostrative”. Il gufo reale è una femmina di sei anni e si chiama Kina. “La sua tattica punta sull’effetto sorpresa. E’ un cacciatore notturno, e dove non arriva la vista arriva l’udito. Poi con il suo volo estremamente silenzioso non da avvisaglie alla preda”. Le poiane del deserto sono due sorelle di 5 anni e si chiamano Haisel e Heil. “La loro tattica è come quella dei lupi. Cacciano spesso in gruppo con strategie che spingono la preda verso veri e propri agguati”. L’aquila reale ha poco più di un anno e si chiama Gaeta. “Ha bisogno di tanto spazio aperto ed è ancora troppo presto per utilizzarla in pubblico. Al momento segue gli altri rapaci nelle manifestazioni perché, ritengo che si diverta di più che stare nella voliera ma anche per imparare a tollerare la presenza di tante persone”. Il falco pellegrino, invece, si chiama Io e ha 4 anni. “Riesce a stare molto tempo in volo e sfrutta la velocità nel calare sulla preda e nel colpirla. Nelle esibizioni, il falconiere adopera una finta preda che si chiama logoro che lui, al volo cattura”. C’è poi l’aquila delle steppe, ha quattro anni e si chiama Argento. “Sa sfruttare le correnti ascensionali e riesce a salire ad elevate altitudini”. Insomma, ce n’è per tutte le metodologie di caccia “Anche se – precisa il falconiere – quelle che facciamo noi sono solamente dimostrative”. Ma come si fa a diventare falconiere? “Fino agli anni ’80 in Italia c’erano un numero limitatissimo poi con il proliferare degli allevamenti, per lo più inglesi e tedeschi, il numero è cresciuto a dismisura. Erroneamente si pensa che avere un falco o un rapace rende di per se falconiere. Non è così. Non tutti hanno la sensibilità per entrare in sintonia con un animale così complesso che ha nella sua natura, nel suo dna, il continuo richiamo al selvatico.

assistente1 Per addestrare un rapace, oltre ad averne le doti per farlo, serve la teoria affiancata ad una intensa pratica fatta al fianco di un falconiere esperto. Il campo è vastissimo e ci sono tante variabili che vanno considerate. L’esempio che mi viene da fare è quello di un aereo, il cui pilota deve conoscere tutte le centinaia di pulsanti e leve per farlo funzionare al meglio e, spesso, neanche è sufficiente”. Gli animali arrivano tutti da allevamenti, nati, quindi in cattività. “Prendo un animale ancora prima che mette le penne. Spesso lo assisto durante la schiusa dall’uovo. Lo cresco come fosse un mio pulcino anche perché così si abitua al luogo in cui deve vivere e a me che devo fargli da genitore”. La fase più delicata è quella del primo mese di volo. “In verità non devo insegnargli nulla perché, d’istinto, saprà volare senza che nessuno glielo insegni.

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Quando stacca le zampe da terra e comincia a volare lo lascio libero, fuori dalle gabbie anche perché il posto in cui è cresciuto e, nei fatti, ne diventa il nido; ed è lì che dovrà tornare quando ha fame o è stanco di giocare con le correnti d’aria”. Poi comincia l’addestramento, che non è più alla caccia come un tempo, ma comunque è qualcosa che gli somiglia dato che gli obiettivi sono finte prede. “Ciò nonostante, però, restano degli animali selvatici per natura e, quindi, con l’istinto del predatore. Talvolta, anche se ben addestrati, questo fattore riemerge. E’ il caso di Patos, un falco che avevo già da sei anni e, durante una esibizione in piazza a Rapolano nella frazione Serre, alla finta preda ne preferì una vera e scappò via per dare la caccia ad un piccione. Ho girato la Toscana in aereo alla ricerca del segnale rilasciato dall’apparecchio che i rapaci in cattività indossano ma senza risultato. Dopo un mese e mezzo mi richiamarono da Serre, lo stesso posto dove lo avevo perso, e mi dissero che Patos era lì che stava facendo strage di piccioni. Sono andato e al primo richiamo lui è tornato senza neanche una esitazione. Era in buone condizioni e, del resto, non avevo dubbi sul fatto che se la sarebbe cavata dato che sa cacciare e cercarsi cibo a sufficienza”. Tutti i suoi uccelli, sostiene Gugliemo, saprebbero sopravvivere in natura se l’ambiente e la concorrenza dell’uomo nella caccia glielo permettessero. “Il vero problema per la reintroduzione in natura dei rapaci è la ricerca di prede che spesso deve dividere con i cacciatori ‘umani’. Tecnicamente saprebbero cavarsela”. Meglio stanno, però, con l’associazione IMeRa agli spettacoli di piazza e al parco Oltremare di Riccione dove Gueglielmo e i sui rapaci si esibiscono due volte al giorno da aprile a settembre. “Ho fatto oltre 5mila spettacoli – confessa il falconiere – ma ancora oggi mi emoziono ogni volta che un rapace mi si posa sul braccio”.

Ermanno Amedei

foto Giuseppe Miele