Le origini ciociare di Aldo Fabrizi, una ricerca riconduce l’attore a San Donato Val Comino

8 Febbraio 2021 Off Di redazione

Attualità – Una meticolosa ricerca, spulciando tra archivi, uffici anagrafe, atti notarili; seguendo l’istinto e affidandosi all’intuito, ha permesso a Giovanni Grimaldi, un ricercatore napoletano, di individuare le origini di uno dei più noti e apprezzati artisti italiani, Aldo Fabrizi, riconducendole alla Ciociaria e, in particolare, a San Donato Val Comino.

Il testo elaborato dal “segugio degli uffici anagrafe” è lungo ma vale la pena leggerlo e seguire il filo che porta dalla Ciociaria “pre-unitaria”, alla Roma che ci piace rivivere attraverso le pellicole, molte delle quali in bianco e nero, che hanno come protagonista lo strepitoso attore.

La scoperta delle origini di Aldo Fabbrizi, da Giovanni Grimaldi riceviamo e pubblichiamo.

“Verso il 1930/31, in alcuni piccoli teatri di Roma, iniziava ad esibirsi, come macchiettista, un giovane comico di bella presenza, che portava il nome d’arte di “Fabrizio” e si definiva “comico grottesco romano”.

Le sue apparizioni portavano sulla scena delle figure caratteristiche della Roma popolana, sanguigna e sorniona, e fra queste, in particolare, il giovane comico rivestiva i panni di alcune personaggi speciali: il vetturino, il conducente del tram, il cameriere.

Questo giovane attore, che veniva da quello stesso popolo che portava sulle scene, aveva affrontato l’amarezza e le difficoltà della vita fin da ragazzo, ovvero fin da quando una polmonite fulminante si era portata via suo padre Giuseppe, un vetturino, dopo una caduta in fosso.

Quel giovane si chiamava in realtà Aldo FABBRIZI (1905-1990), ovvero il grande Aldo “Fabrizi” (così come usò in seguito e come divenne famoso) e, per il resto della sua lunga e formidabile carriera, conservò alcuni elementi caratteristici del suo vissuto e della sua natura e li espresse poi, in modo magistrale, a volte per caso ed a volte per scelta, in tanti suoi straordinari personaggi.

Come, ad esempio, non ricordare la figura del padre perduto in “L’ultima carrozzella” (1943), impersonando Antonio Urbani, detto “Toto”, il vetturino romano? Oppure interpretando altri straordinari personaggi, come Cesare Mancini, il conducente di tram (la versione “aggiornata” del vetturino), in “Hanno rubato un tram” (1954)? Oppure ancora Giovanni Bellini, il venditore ambulante, in “I due compari” (1955) o ancora il facchino ne “Il giorno più corto” (1963)?

Ma allo stesso modo Aldo Fabrizi espresse nella sua straordinaria arte altri temi cruciali e pregnanti che caratterizzarono il suo impegno, come ad esempio quello del riscatto sociale e personale dei genitori attraverso i propri figli. Come non riconoscere in questo la carriera di Aldo che inversamente “riscatta” la vita difficile e tragica di suo padre? Possiamo così ricordare il bidello romano che riuscì a far diventare insegnante il figlio in “Mio figlio professore” (1946), oppure l’emigrante Giuseppe (il nome di suo padre) Bordoni in “Emigrantes” (1949), così come anche in “Guardie e Ladri” (1951) ritroviamo, con Ferdinando Esposito (TOTO’), il povero imbroglione e ladro che si affanna per mantenere la famiglia, la figura di padre disgraziato ed eroico a suo modo, che si scontra ed incontra con l’umanità sensibile, seppur nei doveri della sua divisa, della “guardia” Lorenzo Bottoni (Aldo Fabrizi). Ma vivide sono ancora altre figure paterne che vivono e che lottano per i figli, fra drammi e comicità, anche nei personaggi del maestro Giovanni Merino in “Il maestro…” (1957), oppure del rag. Giuseppe (ancora il nome del padre) D’Amore in “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi” (1960), ma anche in quella del signor Pira, nei suoi sacrifici per far laureare il figlio, così come raccontato in “Made in Italy” (1965). Una vita, quella di Aldo, che somiglia così tanto a quella di molti suoi personaggi, fino all’autocitazione, potremmo dire, nella figura di Nino Martoni, il capocomico dell’improbabile compagnia tratrale di “Vita da cani” (1950).

Eppure, coscientemente o istintivamente, Aldo portò sulle scene, prima a teatro e poi nei suoi films, non solo le sue esperienze personali e familiari, ma anche la sua ricerca del passato, della sua famiglia e delle sue radici.

A tal proposito, infatti, che, come mi confermò telefonicamente la nipote, la prof.ssa Laura (figlia del compianto Massimo (1932-2016), musicista e compositore), suo nonno: “Sentiva fortissimo il legame con la famiglia e con il suo passato“.

Un passato, che in realtà, è stato sempre avvolto nel mistero. Forse fino ad ora.

Infatti, suo padre Giuseppe Fabbrizi (1879-1916), che nel 1904 aveva sposato Angela Michelina Petrucci (classe 1884), risultava, dal suo atto di nascita, figlio di Ferdinando, che aveva “anni trentuno” (quindi come nato nel 1845 circa), un cameriere, e di una ignota “donna non maritata“. Questo Ferdinando appare però già defunto all’atto del matrimonio di Giuseppe (1904) e pertanto doveva essere morto precedentemente. Qui inizia la nostra ricerca.

Negli vari Indici decennali dei morti del Comune di Roma (negli anni “1871-1881”, “1882-1891”, “1892-1901” e “1902-1911”) non compare nessun “Ferdinando Fabrizio”, nemmeno nelle possibili varianti del cognome, tranne un solo atto di morte di un “Ferdinando Fabrizio”, nel 1885. Costui è indicato di anni “quaranta” (quindi nuovamente anche costui come nato circa nel 1845, come il padre di Giuseppe) e come “industriante”, abitante in vita in Roma alla Via del Governo Vecchio n. 23. Ricercando negli Indici decennali dei matrimoni del Comune di Roma (fra il 1871 ed il 1911) non appare però nessun “Ferdinando Fabrizio” (o sue varianti) e nemmeno il matrimonio di un Fabrizio (o sue varianti) figlio di Ferdinando, oltre il già citato matrimonio di Giuseppe nel 1904.

Ma, invece, negli Indici decennali delle nascite in Roma (anni 1871-1881 e 1882-1891) compaiono invece Odoardo Fabrizi (n. Roma, 3 sett. 1876) e Grazia Fabrizi (n. Roma, 14 luglio 1883), entrambi figli di un “Ferdinando Fabrizio”, anche costui cameriere (come indicato nell’atto di Giuseppe del 1879!), anch’egli nato nel 1845 circa, ed anche in questo caso la madre era una ignota “donna non maritata”. Ma nell’atto di Grazia risulta che anche il padre Ferdinando abitava a Via del Governo Vecchio n. 23, così come era indicato anche nell’atto di morte di Ferdinando nel 1885! Tutti questi indizi ci portano a ritenere validamente che Odoardo, Giuseppe e Grazia fossero fratelli, figli di Ferdinando e della sua ignota compagna.

Dobbiamo però notare che negli Allegati degli atti di Morte del 1885, relativamente a quello di Ferdinando Fabrizio, abbiamo trovato altri particolare estremamente interessanti, che possono finalmente portare luce sul mistero. Ferdinando, che era morto per una ferita colposa alla fronte (forse una rissa o un’aggressione), risultava nato a San Donato verso il 1845, figlio di Carmine e Maria Capocci.

Spostando la ricerca agli Atti di nascita del Comune di San Donato (oggi San Donato Val Comino) abbiamo finalmente rintracciato negli atti del 1845 la nascita di Ferdinando Gerardo Fabrizio, figlio di Carmine e di Maria Maddalena Capocci, sua sposa, il giorno 24 marzo.

Ferdinando (1845-1885), nonno di Aldo, era dunque originario di San Donato (oggi San Donato Val Comino), che allora era distretto di Sora, in Terra di Lavoro, parte del Regno delle Due Sicilie. I Fabrizio antenati di Aldo erano meridionali e per esattezza ciociari.

A questo punto vengono in mente, fra i vari personaggi di Aldo, alcuni che potevano forse somigliare a questi suoi avi di provincia: il contadino zio Tigna di “Vivere in pace” (1947), oppure quello bonario ma furbo in “Ferdinando I° re di Napoli” (1959).

Ferdinando, in San Donato, aveva avuto una famiglia numerosa. Il padre, Carmine Fabrizio (classe 1817), aveva sposato nel 1840 Maria Maddalena Capocci (n. Picinisco, 1809, + San Donato 1856), vedova di Giovanni Fabrizio fu Gerardo, e dalla loro unione erano nati anche altri figli: Clementina (1840), Maria Pasquala (1842), Luciano (1848), Raffaela (1851) e Lucia (1854). La mamma Maria Maddalena era però morta giovane (1856), lasciando i figli ancora in tenera età. Probabilmente fu per questo che, unitamente alla grave crisi economica e sociale che seguì l’unità d’Italia (1861), Ferdinando e suo fratello Luciano dovettero emigrare a Roma, quasi sicuramente in cerca di lavoro. Qui, come visto, Ferdinando, che si stabilì nel quartiere Regola (quello famoso del “Campo dei Fiori”, reso celebre anche dal film di Aldo), divenne un cameriere e poi oste, prima della sua tragica scomparsa. Ma a Roma, prima di lui, era perito anche il fratello Luciano (1884), strappato alla vita da una broncoalveolite (forse per la tubercolosi). Il loro genitore Carmine, invece, aveva vissuto a San Donato lavorando come “fabbricatore”, ovvero nel settore  dell’edilizia, dove i Fabrizio locali portarono avanti la tradizione degli “scalpellini” insieme ad altre famiglie locali fino ai giorni nostri. Suo padre era stato Ferdinando (1776-1835), che dalle due mogli Maria Pasquala Russo (+ 1822) e Barbara Camillo aveva avuto vari figli (fra essi, oltre Carmine, Leonilda, Fillide e, dal secondo matrimonio, Giuseppe), mentre suo nonno Desiderio (+ 1805, fu Michele + 1761), che dalla moglie Fillide Cugini (+ 1813) aveva avuto, tra gli altri figli, Maria Giuseppa, Michele (1765-1853), Teresiana ed Angela. I Fabrizio di San Donato sono ancora oggi una famiglia diffusa nel piccolo Comune e della provincia. A tal proposito, se i diretti interessati fossero d’accordo, sarebbe molto affascinante effettuare una ricerca sul cromosoma Y-DNA per attestare la parentela genetica fra questi ceppi Fabrizio ed i discendenti del nostro Aldo. Fra tali famiglie si ricorda anche il celebre Quintino Fabrizio, medico legale (malattie nervose), molto noto nel Regno di Napoli, originario di San Donato e comproprietario del palazzo detto il Convento dove nell’estate del 1878 fece soggiornare anche la Principessa Anna Carolina Bonaparte.

Ma lasciando da parte la ricerca sui Fabrizio di San Donato (che merita un ben più approfondito studio), torniamo ai piccoli Odoardo, Giuseppe e Grazia, orfani di padre, che dopo la tragica scomparsa persero ogni contatto con la famiglia paterna. Non sappiamo ancora se i bambini continuarono a vivere con la madre naturale (come probabilmente avvenne), ma sappiamo che non ebbero infanzia facile. Odoardo e Giuseppe dovettero iniziare a lavorare molto presto. Ma quella dei Fabrizio, oltre ad essere una famiglia particolare, continuò ad essere disgraziata, perché dopo la tragica morte di Ferdinando, anche Odoardo, garzone di chiavettiere, morì, colpito dalla porpora variolosa (vaiolo di tipo emorragico), nel 1887.

Giuseppe, molti anni dopo, benché poco più che maggiorenne decise di sposare, come visto, Angela Michelina Petrucci. Angela era figlia di Luigi (1855-1930), che lavorò a lungo nel settore delle tubature (la sua qualifica era quella di “posatore di tubi di ferro”) e di Adele Anna Maria Farelli (n. 1861). Questa coppia, sposata fin dal 1882, ebbe anche altri figli (come Amelia Pietrucci, che nel 1920 sposò il falegname Costantino Garbini, Palmira Pietrucci, che nel 1909 sposò lo stagnaro Augusto Bastianelli, etc.).

La famiglia Petrucci, che in realtà era Pietrucci, era originaria di Tivoli e Luigi aveva continuato il lavoro di suo padre Gregorio (n. Tivoli, 1831, + Roma, 1880), fu Vincenzo, che di professione era mastro fabbro. Costui si era trasferito da Tivoli a Roma e qui, nel 1854, in S. Maria in Monticelli, aveva sposato Teresa Aloisa (“Luisa”) D’Agostini, dalla quale ebbe vari figli (come Teresa (n. 1872) ed Augusto (n. 1874)). Adele Farelli, invece, moglie di Luigi, era nata da Marco (1843-1872), arrotino romano, e da Costanza Ferri (+ 1870) ed aveva avuto come fratelli anche Cesare (n. 1863), Lucia (poi sposata con Pietro Valeri ) e Paola, che sposò Domenico Anzuini. Fu proprio il fratello Cesare ad impegnarsi nell’attività di fruttivendolo, attività che poi anche altri seguirono in famiglia, come la nipote Angela Michelina Petrucci, moglie di Giuseppe Fabbrizi.

Ma, come abbiamo visto da questa breve escursione storica, le radici umani, comiche e caratteristiche di Aldo, affondano anche nelle misteriose origini della sua famiglia e nei lavori svolti anche dai suoi avi: dal cameriere all’oste, dal vetturino al facchino, etc.

E come non scorgere in queste stesse radici anche il suo profondo e viscerale legame con la cucina, sia romana che laziale in genere?

Per concludere infine questo breve articolo, abbiamo evidenziato come, dalle nostre ricerche, è quindi emerso che in realtà le radici di Aldo non erano solo romane, ma erano ben più estese ed articolate, così come è stato per tanti altri grandi personaggi.

Ma questo non sminuisce affatto “romanità” di Aldo, ma invece l’arricchisce e la diversifica. Perché Roma, anche nella cultura, è un crogiuolo di culture e di anime, di emozioni e tradizioni, che tutto amalgama sapientemente insieme, fino a distillarlo in qualcosa di straordinario. Così allo stesso modo in Aldo sono confluite quella profonda umanità, quella straordinaria sensibilità e quelle radici solide che derivano in generale da tutto un popolo, dal popolo italiano, da tutta una civiltà, quella nostrana, che, nelle sue tante sfaccettature e particolarità, locali e territoriali, si riuniscono armoniosamente in personaggi eccezionali come lo stesso Aldo.

Aldo che partì dall’essere una macchietta di personaggi romaneschi, per arrivare ad essere, infine, egli stesso una meravigliosa maschera di italianità”.