Il Drop Out sportivo, perchè i giovani si allontanano dall’attività fisica. Le risposte in un convegno
22 Settembre 2025 0 Di redazioneBolzano – Gli adolescenti e lo sport: perché dovrebbero praticarlo, perché uno su tre a Bolzano lo abbandona, e come fare per ricucire lo strappo. Sono i temi affrontati nel convegno a Castel Mareccio a Bolzano, dal titolo “Drop out sportivo in età adolescenziale” organizzato dall’Azienda sanitaria altoatesina. Un dibattito sull’abbandono dello sport (drop out) da parte degli adolescenti innescato dai numeri secondo i quali il 20% degli studenti tra i 15 e i 17 anni non pratica discipline sportive; il 18% di questi le ha abbandonate prima dei 16 anni. Inoltre, il 15% lo pratica solo saltuariamente.
Sono dati emersi da un questionario somministrato dal Servizio di Medicina dello Sport dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige e dall’Osservatorio per la Salute della Provincia autonoma di Bolzano, a un campione di 343 studenti di quattro diverse scuole superiori di Bolzano. Nessuna presunzione di aver raccolto un risultato dal valore assoluto, ha precisato Mirko Bonetti, statistico dell’Osservatorio per la Salute: “il campione è una porzione di studenti, tra l’altro concentrata soltanto su Bolzano”.
Dati che, seppur parziali, costituiscono un indicatore del fenomeno che preoccupa dal punto di vista sanitario e sociale. A livello nazionale, la provincia di Bolzano è in vetta per la percentuale di popolazione praticante sport, il 57%; è di gran lunga superiore alla media nazionale ferma al 37,5%. Un dato che giustifica il gran numero di altoatesini che si affermano in varie discipline sportive, come sottolineato da Valentino Beccari, direttore del quotidiano Alto Adige, che ha moderato il convegno insieme a Laura Rech, coordinatrice tecnico-assistenziale della Medicina dello Sport e membro del gruppo di ricerca.
Ma il dato raccolto nelle scuole sul drop out indica che i giovani si stanno allontanando. Far parte di una squadra “dà il senso della correttezza e insegna alla resilienza – ha detto l’assessore provinciale alla prevenzione sanitaria e salute Hubert Messner, il quale ha aggiunto – chi fa sport in età giovanile lo farà per il resto della vita”. Messner si è anche interrogato sul perché i ragazzi abbandonino le attività: “forse perché chiediamo troppo in termini di risultati”.
Il collega Peter Brunner, nella classifica nazionale, ha auspicato che “dopo i dati mi aspetto i fatti” proponendo di trovare “un nuovo approccio ai giovani da parte delle società sportive”.
Elio Assiti, medico del Servizio di Medicina dello Sport, ha sottolineato i rischi che un giovane su tre sta correndo e che sono, oltre “ai problemi di natura sanitaria, anche quelli neurologici come perdita di fiducia che porta a depressione e ansia. Dal punto di vista sociale, l’attività sportiva porta al confronto con i coetanei e, di conseguenza, alla socializzazione e autostima”. La soluzione sta nel “creare un ambiente positivo per i ragazzi ma serve una collaborazione da parte di genitori, professori e allenatori” nel promuovere un sistema che non punta “all’arrivare primi, focalizzando la vittoria come unico obiettivo, ma sul progresso individuale”.
I dati raccolti dalla ricerca coordinata da Bonetti indicano come la principale causa dell’abbandono sia da ricercare nella mancanza di tempo (41,4%), la presenza di interessi (31,4%), motivi di studio (30%) e stanchezza o pigrizia (22,9%) e riguarda tutte le discipline con una maggiore concentrazione nella pallavolo, disciplina principalmente femminile: sono, infatti, più le ragazze dei ragazzi interessate dal drop out.
Apprezzato l’intervento dello psicologo sportivo Giorgio Merola, il quale ha attribuito responsabilità a ciascuna figura: genitore, professore, allenatore. “Capita a mamma o papà di scaricare sui figli il peso delle proprie aspettative; ai professori che considerano uno scansafatiche il ragazzo che chiede di uscire prima per allenarsi; agli allenatori quando adoperano parole demotivanti con ragazzi fragili. Sport e scuola – ha detto Merola – non sono in conflitto. Anzi lo sport ti insegna a sudare e allena la grinta che torna utile anche per raggiungere obiettivi scolastici”.
Atteso e apprezzato l’intervento di chi lo sport lo vive e ne ha fatto una professione. Il capitano del Südtirol, Fabian Tait, sollecitato dal direttore Beccari, ha raccontato i momenti bui della sua carriera sportiva quando, in età adolescenziale, stretto dalla tragedia familiare della perdita della mamma e dagli scarsi risultati scolastici e sportivi, stava meditando di lasciare il calcio. “Davo la colpa all’allenatore che non mi faceva giocare – ha detto – Il capitano della squadra del Mezzocorona mi fece capire che era inutile dare colpa agli altri. Mi disse di cambiare approccio, lavorando sulle lacune. Ha funzionato, non solo nel calcio ma anche a scuola, ed è cominciata la scalata”.
Tait ha parlato anche degli insegnamenti illuminati di alcuni allenatori e in particolare di Ivan Javorčić, il quale sosteneva che la “disciplina nello sport è tutto, dal minuto di ritardo al disordine; diceva che se si è perfetti nella vita lo si è anche in campo”. Tra i sogni del calciatore 33enne che ha giocato in ogni tipo di campionato c’è “quello di giocare nell’unica categoria che mi manca”: la Serie A.
Ermanno Amedei



