“Anime interrotte”, il racconto di abusi subiti da bambina e del silenzio imposto dalla famiglia ma anche la “ricetta” contro l’autocommiserazione

“Anime interrotte”, il racconto di abusi subiti da bambina e del silenzio imposto dalla famiglia ma anche la “ricetta” contro l’autocommiserazione

10 Agosto 2025 0 Di redazione

Merano – Un libro per dire ciò che da bambina non ha potuto esprimere; per denunciare quello che, da piccolissima, ha dovuto subire, ma anche per gettare il cuore oltre l’ostacolo e scegliere se vivere nell’ombra dell’autocommiserazione, colpevolizzando gli altri, oppure prendere in mano le redini della propria vita e seguire un percorso diverso da quello che la sorte le aveva destinato.

Roberta Melchiori, altoatesina di Merano, oggi ha 47 anni, è madre di quattro figli e vive con la famiglia a Madrid, ma ha mantenuto stretti legami con la sua terra d’origine. Diventando madre, moglie e soprattutto donna adulta, si è voltata indietro e ha deciso di trasformare il suo passato in un libro. Si intitola Anime interrotte, edito da Ventura Edizioni, e non è un romanzo, ma la sua vera storia: quella di una bambina che subì abusi raccapriccianti.

Fin dalle prime righe, il primo capitolo fa accapponare la pelle: con l’ingenuo racconto di una bimba di cinque anni, il lettore viene trasportato nella stalla di un vicino di casa, dove l’uomo la attirava per riversarle addosso le sue morbose attenzioni. Non un episodio isolato, ma diversi, fino a quando — e questo costituisce un ulteriore trauma — la famiglia non lo scoprì e la costrinse al silenzio.

Il silenzio è stato, infatti, una costante nella vita di Roberta, anche in un momento delicato come l’adolescenza. La prigione dei tabù censurava la parola “sesso” e impediva di parlare dei cambiamenti tipici di quell’età, argomenti sui quali una ragazzina avrebbe voluto fare domande.

Ma il libro non è solo un racconto di violenza: è quasi un manuale di sopravvivenza per affrontare quell’età fragile che è l’adolescenza, durante la quale ci si trova spesso davanti a muri che sembrano insormontabili.

“Ho documentato tutti i passaggi che ho compiuto per riprendere in mano la mia vita e trovare la via per la felicità e la serenità, uscendo dal tunnel dell’autocommiserazione e del vittimismo in cui si rischia di rimanere impantanati quando si subiscono violenze e si cresce in una famiglia disfunzionale come la mia, che non mi permetteva di parlarne” racconta Roberta. Non punta il dito contro i suoi familiari, perché “non nasciamo genitori: siamo umani e, in quanto tali, sbagliamo”.

Oltre alla violenza, “il farmi sentire sbagliata è stato l’altro trauma che mi sono portata dietro fino a quando ho dovuto scegliere che vita avrei voluto vivere: se quella del vittimismo o una strada che mi portasse alla serenità”.

Verso i 18 anni Roberta ha iniziato a frequentare uno psicologo. “Ci andavo senza capire di stare male. Avevo sviluppato un’attitudine a soccorrere gli altri e speravo, dalle sedute, di apprendere gli strumenti per aiutare chi soffriva. Lo psicologo, invece, è riuscito a farmi comprendere cosa ci fosse dietro, accompagnandomi verso una scelta di vita diversa”.

Così ha iniziato un percorso di ricostruzione di sé, passo dopo passo, raccontato nel libro. Tra gli insegnamenti che ha tratto dal suo passato e che vuole trasmettere attraverso Anime interrotte, c’è l’importanza del dialogo con i figli: “Il poter parlare con loro di tutto. Poi, certo, si commettono errori, ma il confronto aiuta a dividere un problema tra tutti i componenti della famiglia, così che il peso non gravi su una sola persona. A me mancava proprio questo: poter parlare dei miei problemi”.

Ai più giovani, invece, il messaggio è chiaro: “Non arrendetevi alle cose brutte della vita. Quello che vogliamo fare delle esperienze negative è una nostra responsabilità e una nostra scelta: decidere se permettere loro di continuare a farci male o relegarle nel passato”.

Ermanno Amedei

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“Anime Interrotte“ (Unterbrochene Seelen), die Geschichte von Missbrauch als Kind und dem von ihrer Familie auferlegten Schweigen, aber auch ein „Rezept“ gegen Selbstmitleid.

Ein Buch, um das zu sagen, was sie als Kind nie aussprechen konnte. Um das anzuprangern, was sie als kleines Mädchen ertragen musste – und um den Mut zu fassen, das Leben nicht im Schatten des Selbstmitleids zu verbringen, anderen die Schuld zuzuschieben, sondern selbst die Zügel in die Hand zu nehmen und einen anderen Weg einzuschlagen, als das Schicksal ihr zugedacht hatte.
Roberta Melchiori, gebürtig aus Meran, ist heute 47 Jahre alt, Mutter von vier Kindern und lebt mit ihrer Familie in Madrid – die Verbindung zu ihrer Heimat hat sie trotzdem nie verloren. Als Mutter, Ehefrau und vor allem als erwachsene Frau blickte sie zurück und beschloss, ihre Vergangenheit in ein Buch zu verwandeln. „Anime interrotte“, erschienen bei Ventura Edizioni, ist kein Roman, sondern ihre wahre Geschichte – die Geschichte eines Kindes, das grausamen Missbrauch erlebte.

Schon die ersten Zeilen lassen einem das Blut in den Adern gefrieren: Mit den naiven Worten eines fünfjährigen Mädchens wird der Leser in den Stall eines Nachbarn versetzt – dorthin, wo der Mann sie lockte, um ihr seine krankhaften Zuwendungen aufzuzwingen. Es war kein einmaliges Ereignis, sondern passierte mehrfach – bis die Familie es herausfand. Und statt Unterstützung gab es Zwang zum Schweigen.

Schweigen war überhaupt ein ständiger Begleiter in Robertas Leben – selbst in der sensiblen Zeit der Pubertät. In ihrem Umfeld war das Wort „Sex“ tabu, über die körperlichen und seelischen Veränderungen dieser Lebensphase durfte man nicht sprechen – Fragen zu stellen war unmöglich.

Doch „Anime interrotte“ ist nicht nur ein Bericht über Gewalt. Es ist fast so etwas wie ein Überlebensratgeber für diese verletzliche Phase des Lebens, in der einem scheinbar unüberwindbare Mauern im Weg stehen.

„Ich habe jeden einzelnen Schritt dokumentiert, den ich gegangen bin, um mein Leben zurückzugewinnen und den Weg zu Glück und innerer Ruhe zu finden – raus aus dem Tunnel aus Selbstmitleid und Opferrolle, in dem man steckenbleibt, wenn man Gewalt erlebt und in einer dysfunktionalen Familie wie meiner aufwächst, in der man nicht darüber reden darf“, erzählt Roberta. Ihren Angehörigen macht sie dabei keine Vorwürfe: „Wir werden nicht als Eltern geboren. Wir sind Menschen, und Menschen machen Fehler.“

Neben der Gewalt sei das Gefühl, „falsch“ zu sein, ihr zweiter großer Ballast gewesen. „Bis ich mich entscheiden musste, welches Leben ich führen wollte: das eines Opfers – oder eines, das mich zur inneren Ruhe bringt.“

Mit etwa 18 begann Roberta, einen Psychologen aufzusuchen. „Ich ging hin, ohne zu begreifen, dass es mir schlecht ging. Ich hatte eine Art Helfersyndrom entwickelt und hoffte, mir dort Werkzeuge aneignen zu können, um anderen zu helfen. Der Psychologe half mir dann zu verstehen, was wirklich dahintersteckte – und begleitete mich auf den Weg zu einer anderen Lebensentscheidung.“

So begann Schritt für Schritt ihr Wiederaufbau – ein Prozess, den sie im Buch nachzeichnet. Eine ihrer wichtigsten Lehren daraus und Botschaft an andere Eltern: „Mit den eigenen Kindern über alles reden zu können. Fehler passieren trotzdem, aber das Gespräch hilft, Probleme auf die ganze Familie zu verteilen, damit nicht eine Person allein die Last trägt. Das hat mir damals gefehlt – über meine Probleme sprechen zu können.“

Und an die Jüngeren richtet sie einen klaren Appell: „Gebt nicht auf, wenn euch das Leben schlechte Karten gibt. Was wir aus negativen Erfahrungen machen, ist unsere Verantwortung und unsere Entscheidung. Wir können zulassen, dass sie uns weiterhin wehtun – oder sie dorthin verbannen, wo sie hingehören: in die Vergangenheit.“

Ermanno Amedei

(Übersetzung mithilfe einer KI-Anwendung)