Uccide il gatto del vicino? Condannato per maltrattamento di animali

5 Novembre 2013 0 Di redazione

Da Giovanni D’Agata riceviamo e pubblichiamo:

Comportamento “bestiale” che dev’essere punito esemplarmente: chi uccide un animale non se la può cavare né pretendere alcuna attenuante. Lo sostiene Giovanni D’Agata, presidente dello“Sportello dei Diritti” , che plaude alla sentenza n. 44422 della Cassazione Penale pubblicata il 4 novembre che ha confermato la condanna ad un’ammenda pari a 7000 euro e senza alcuna attenuante per l’imputato accusato di aver ucciso con la carabina uno dei gatti del vicino sol perché infastidito. Peraltro, la reiterata condotta aggressiva verso gli animali è ritenuta quale circostanza aggravante. Nel caso di specie, il tribunale di Genova aveva condannato l’uomo ritenuto colpevole del reato previsto dall’articolo 544 del c.p. (maltrattamento di animali) a pagare l’ingente multa 7mila per aver causato la morte di uno dei gatti della vicina dopo l’esplosione di alcuni colpi.

Il condannato ha quindi proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza di primo grado nella convinzione che il primo giudice avesse erroneamente ritenuto la condotta aggressiva verso gli animali una circostanza aggravante. Ma gli ermellini hanno rigettato tali doglianze ed anzi rilevano che: «Non solo il tribunale ha esplicitato la valutazione di non necessità della condotta, anche volendosi porre nell’ottica di una reazione dell’imputato a situazione di fastidio, ma ha complessivamente ricostruito il fatto nella prospettiva di una ripetizione di condotte aggressive che hanno in ultimo condotto alla morte di un animale». Non può essere applicata, quindi, alcuna attenuante generica. Il giudice di prime cure, ha soltanto condannato l’imputato alla pena pecuniaria in virtù della circostanza che vittima del reato é risultato solo un felini, «così effettuando un complessivo bilanciamento degli elementi ritenuti rilevanti. Non ritenendo di scendere sotto la pena minima edittale, e, anzi, valutando opportuno infliggere una pena di poco superiore in relazione alle modalità della condotta sopra ricordate, il giudicante ha offerto una motivazione che escluda l’esistenza i ragioni per l’applicazione dell’art.62-bis c.p».