Un ritardo di 30 anni nelle politiche energetiche sono un gap incolmabile

26 Agosto 2010 0 Di redazione

Il referendum del 1987 che, sull’onda emozionale del disastro di Chernobyl, bandì dal nostro Paese la produzione di energia elettrica attraverso le centrali nucleari, fu un errore dovuto a grave miopia politica in quanto non si inquadrarono esattamente i termini del problema dell’approvvigionamento energetico dell’Italia e quindi si speculò mediaticamente solo sulla pericolosità delle centrali come quella russa, peraltro di vecchia generazione già allora, tralasciando strumentalmente di informare l’opinione pubblica circa il non trascurabile fatto che l’Italia è completamente circondata da paesi che producono energia elettrica con le centrali nucleari come la Francia, la Svizzera e la Slovenia, paesi dai quali acquistiamo energia a prezzi salati e con il rischio che un eventuale incidente in quelle centrali avrebbe effetti dannosi nel nostro Paese molto più devastanti di quelli di Chernobyl, data la maggiore vicinanza ai nostri confini.
Il risultato pratico dell’esito del referendum fu una iniziale dipendenza energetica del Belpaese dal petrolio importato dai paesi arabi e, successivamente, l’accostamento alla dipendenza dal petrolio arabo di quella dal gas russo che arriva a noi attraverso una fitta rete di gasdotti che attraversano mezza Europa.
Ciò significa che l’energia prodotta in Italia risente non solo dei costi di trasporto e di mantenimento della rete per quanto riguarda il gas, ma anche delle speculazioni internazionali, della ridda di voci sulla limitatezza delle risorse e delle crisi politiche mediorientali o dell’ex impero sovietico, che periodicamente fanno lievitare in modo incontrollato i prezzi del greggio con tutte le immaginabili ricadute sul prezzo dei prodotti derivati (benzina ed altri combustibili): il tutto a scapito delle famiglie e degli automobilisti che continuano a pagare quella che nel 1987, nel corso di accesi dibattiti in sede politica universitaria il sottoscritto definì una scelta scellerata, e della cui scelleratezza chi scrive è oggi più che mai convinto.
Il tempo ha dato ragione a quella minoranza che sosteneva che si stava commettendo un errore tanto che a distanza di 23 anni il nostro legislatore si è visto costretto a varare una normativa che dà nuovamente il via libera all’installazione di centrali nucleari in Italia per produrre energia, ovviamente centrali di nuova generazione conformi agli standard di sicurezza mondiali completamente diverse dalla “bomba” di Chernobyl che tanti danni ha prodotto alle persone ed all’ambiente grazie all’incapacità ed all’incuria dei tecnici ed all’inefficienza del sistema di sicurezza e manutenzione sovietico.
Ma il danno allo sviluppo economico ormai è fatto e ritengo che sia irreversibile in quanto 23 anni di ritardo nel programma energetico nucleare sono troppi ed a questo ritardo va aggiunto il tempo necessario (mediamente intorno ai 4-5 anni) per la costruzione delle centrali, il che significa, in termini spiccioli, che le centrali italiane inizieranno a produrre energia con un ritardo di circa 30 anni rispetto agli altri partners europei, un gap purtroppo incolmabile considerata la velocità alla quale viaggia il mondo moderno.
A ciò si aggiunga che nel nostro Paese siamo ancora in alto mare per quanto riguarda lo sviluppo della produzione energetica da fonti rinnovabili e la gran parte delle amministrazioni locali non riesce a far decollare né l’eolico, che in ogni caso ha un impatto paesaggistico notevole per ridurre il quale in Nord Europa sono state create delle isole eoliche in alto mare, né il fotovoltaico che per l’alimentazione delle abitazioni nelle città potrebbe dare, grazie a programmi di riconversione ecosostenibile del patrimonio immobiliare pubblico e privato sostenuti da incentivi, finanziamenti europei e detrazione fiscale degli investimenti, non solo un certo sollievo alle tasche dei cittadini ma altresì un impatto decisamente meno invasivo per l’ambiente e per l’aria che respiriamo.
Il tutto ad onta del fatto che fin dal 2001 la legge n. 380, la cui efficacia in materia è stata colpevolmente prorogata più volte, obbliga la realizzazione delle nuove costruzioni con utilizzo di materiali termoisolanti che consentano di risparmiare energia e con utilizzo di impianti di produzione di energia con fonti alternative a quelle tradizionali.
Bisogna poi considerare le ricadute positive che lo sviluppo del settore avrebbe in termini di occupazione, peraltro specializzata, sia per quanto riguarda la costruzione degli impianti che per la loro manutenzione e sicurezza, con conseguente rilancio dell’economia del territorio che ha creduto ed investito in questo campo nel quale, a dire il vero, le imprese italiane già sarebbero pronte a competere.
Quindi, sebbene siamo in forte ritardo rispetto all’Europa e che in alcuni paesi del vecchio continente già si installano impianti c.d. minieolici sui tetti delle case e dei palazzi per produrre energia riducendo l’impatto sul paesaggio, è ora che la politica, specie quella locale, si svegli dal suo letargo e si renda finalmente conto che quella della “green economy”, oltre che un grandissimo volano di sviluppo economico e di occupazione, è una sfida di civiltà che non ci si può permettere di perdere.
Paolo Andrea Taviano
Magistrato